Per raggiungere grandi obiettivi non bisogna solo agire e pianificare, ma anche sognare e credere.
Ferdinand De Lesseps
Il famoso canale di Suez è stato progettato proprio da un italiano: l’ingegnere trentino Luigi Negrelli. È stato inaugurato nel 1869 e, da allora, è una delle arterie commerciali più importanti del pianeta: si stima che vi transiti il 12% del commercio mondiale, soprattutto grano e petrolio.
Collega il Mar Rosso al Mar Mediterraneo ed è una delle rotte commerciali più battute al mondo: vi transitano oltre 20mila navi ogni anno. È tornato alla ribalta perché una nave portacontainer si è incagliata.
Non è ancora chiaro come sia accaduto: chi comanda la nave è gente preparata, sono piloti che conoscono quel corridoio d’acqua, sono marinai avvezzi a far procedere queste grandi navi con capacità e accuratezza.
Dalle prime ricostruzioni sembra che la Ever Given sia stata travolta da una tempesta di vento e sabbia che l’ha fatta girare, incagliandola con la prua sommersa nella sabbia di una delle sponde.
Le immagini dell’imbarcazione arenata sono proliferate in questi giorni su ogni mezzo di stampa e su ogni social, diffondendo un serio allarmismo tra gli esperti per l’impatto che sta avendo sull’economia globale con la perdita di miliardi di dollari al giorno.
Certo, c’è chi ironizza e sfrutta la situazione inventandosi i cosiddetti meme che, all’occorrenza, fanno sia sorridere che riflettere ma, sembra ovvio, che al di là delle proprie competenze individuali, è un tema che dovrebbe toccare tutti noi più da vicino.
La portacontainer lunga 400 metri ha paralizzato il transito nel canale: qualcuno ha parlato di una bomba ad orologeria che, ogni minuto che passava, diventava sempre più letale, con un’amplificazione degli effetti collaterali non ancora attuati in pieno.
Cosa passa da questo canale? Oltre il 50% del traffico che lo attraversa è composto da mega navi container e da petroliere. Esso è assolutamente importante per assicurare le forniture di petrolio, con circa il 10% del prodotto mondiale che viene inviato attraverso quella rotta.
Secondo alcune stime fatte e riportate da The Guardian, circa 10 milioni di barili di petrolio sono rimasti bloccati alle due imboccature del canale e solo alcune petroliere più piccole hanno proseguito la navigazione, imboccando le sezioni più vecchie e strette del canale.
Eppure, lo stretto di Suez è stato chiuso già tre volte nella sua storia: la prima avvenne nel 1956 per dieci giorni e venne riaperto solo dopo l’intervento anglofrancese. Venne di nuovo chiuso da novembre a Natale perché gli egiziani affondarono le loro 40 navi che si trovavano lì. Poi nel 1967 e nel 1973, ma nessuno di questi tre momenti è paragonabile a quello che sta succedendo oggi. Soprattutto per l’entità dei traffici, ovviamente. Nell’ultimo caso, la crisi bellica del 1973 durò molto di più dello stesso blocco del canale.
Il canale di Suez? Assolutamente impossibile da realizzare.
Benjamin Disraeli
Ma parliamo di un’altra epoca: la globalizzazione era lontana anni luce e i volumi di traffico non erano minimamente paragonabili a quelli attuali. Inoltre, l’invenzione dei container ha cambiato radicalmente il mondo dei trasporti: se avete guardato bene l’Ever Given ve ne siete fatti, senza dubbio, un’idea.
È una mega-nave che pesa 220mila tonnellate di peso e di carico ed è profonda come un palazzo di sei piani. In pratica, l’equivalente di quattro campi di calcio e circa cinquemila camion. Esistono dodici modelli superiori ad essa, con tutti i rischi e gli inconvenienti che questo comporta.
Non offrono solo velocità, competitività ed efficienza estrema ma hanno anche la capacità di abbattere i costi unitari di trasporto grazie all’aumento del numero di unità degli stessi container portati da ogni nave.
Dopo una crisi del settore del 1975, gli armatori sopravvissuti al tracollo comprendono che il futuro è unirsi in conglomerati per radunare le risorse finanziarie necessarie alle costruzioni di questi colossi del mare. Queste si muovono lentamente ma anche ostinatamente lungo interminabili tratte transoceaniche, slow steaming. Ricevono commesse dovunque e poi le accorpano tramite complessi snodi logistici tra terra e mare in pochi hub che, in breve tempo, si trasformeranno in mega-porti.
Questa forma di economia è chiamata a scala e anche quando nel 2009 vi è una nuova crisi del settore, l’impegno, ad esempio, del più grande armatore in attività, la danese Maerks, è quello di ingrandire di nuovo le navi per ottenere economie di scala maggiori.
Una corsa alle dimensioni che arriva alla generazione di Ever Given nata nel 2018. Una corsa che deve fare letteralmente i conti con i millimetri e con i margini di manovra; quello che è accaduto in questi giorni a Suez lo conferma nella sua non tanto banale ovvietà.
Solo nei primi giorni, per rendere l’idea, oltre 300 navi sono rimaste bloccate, come in una coda infinita e non ci sono ancora certezze sui tempi di recupero della normalità. Gli effetti di questo delirio potrebbero essere drammatici anche per noi piccoli utenti: un esempio su tutti potrebbe essere l’aumento del costo del petrolio.
Per questo stretto passa l’8% del greggio di tutto il mondo e una cui parte preponderante è diretta in Europa. E così in un valzer senza pace, aumenteranno subito i prezzi dei trasporti intercontinentali. Ciò anche se la situazione dovesse risolversi presto, perché la pandemia ha sbilanciato la distribuzione dei container nel mondo. Sono, infatti, più quelli che fanno un viaggio di andata verso l’Europa che quelli che fanno un viaggio di ritorno.
A subire improvvise salite di prezzo sarà anche tutto ciò che è griffato e di marca ed è realizzato nei distretti asiatici, i prodotti ad alta tecnologia e anche una miriade di accessori a basso prezzo, come utensileria e cartoleria, e persino, le mascherine. Tutto ciò perché in questo mondo globalizzato le scorte e gli stoccaggi sono ridotti al minimo e l’equilibrio del mercato si fonda sulla frequenza. Infatti, con il canale aperto tutto fila liscio ma con Suez chiuso, la ruota e il suo girare si ferma.
Per dare un’idea non scontata del danno: i Lloyds di Londra hanno stimato il costo del blocco in 400 milioni di dollari l’ora ovvero 9 miliardi e mezzo al giorno. Gli effetti negativi del blocco, per qualche esperto, si ripercuoteranno sul mercato mondiale ancora per diversi mesi lungo la catena di approvvigionamento.
Da un corridoio d’acqua al blocco di una parte dell’economia mondiale, il passo non sembra più così banale e, soprattutto, così poco ininfluente per la nostra vita. Una tempesta o un errore di giudizio possono comportare una serie di sfortunati eventi o meglio, dalla sfortuna o dall’imperizia si può determinare un danno che mette in ginocchio l’intero sistema capitalistico mondiale.
Quale sia la verità non riusciremo mai a comprenderlo fino in fondo: l’uomo vive nell’incertezza e nella costante paura del caso e della sfortuna. La vita è un appassionante gioco legato al caso; l’esistenza stessa è un azzardo.
Non c’è da stupirsi che ancora oggi crediamo al caso e manifestiamo orrore verso tutto ciò che ci si riversa contro. Ci alterniamo tra due potenti interessi: la passione di ottenere qualcosa per niente e la paura di non ottenere niente per qualcosa. È questo il gioco dell’esistenza perché alla fine l’insuccesso, la rovina, la condanna, che non appaiono motivati da un errore o da una colpa, costituiscono una condizione inevitabile dello stesso vivere umano.
Che sia stata la natura con la sua forza illimitata, il caso con la avida illusorietà o la sfortuna con la sua mira infallibile, quello che resta di Suez è un nuovo tassello che qualcuno si è divertito ad inserire nel mosaico eterno del fluire infinito. Il tassello che lascia, comunque, incompiuto il disegno e che, anche se preso dall’alto, spostandoci sopra il tetto stesso dell’universo, non riusciremo mai capire se è firmato dall’uomo, dal destino/dalla sfortuna o da un dio beffardo.
Nel frattempo, quella grande nave è l’altare della nostra ambizione ma anche il contraltare stesso del nostro fallimento. Come ogni cosa, nel bene e nel male, nella fortuna degli eventi e nella sfortuna delle conseguenze.
Autore Massimo Frenda
Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.