Il tema portante, la vera sostanza di questa “esposizione” rappresenta, fra i tanti finora messi in campo, un alternativo e “speranzoso” tentativo, atto a consentire la “lettura” del difficile rapporto con la “potestà” del mondo e le conseguenti relazioni esistenziali, espresse e annotate nell’Opera pittorica, cioè nella particolare visione artistica, quindi soltanto nella pura espressione non tanto nei moti del comportamento “manifesto” di quel grande Maestro della Pittura che fu Michelangelo Merisi; un uomo e un artista, inscritto, a pieno titolo, nella Storia universale come il “Caravaggio”, dal nome del suo paese natio, allora uno sperduto nucleo di poche casupole contadine, immerse nella “brumosa” campagna lombarda.
Oggi si riscopre un rinnovato interesse da parte della cultura “generalizzata” per quella dimensione artistica e filosofica nella quale ha interagito in maniera potente il pensiero di Giordano Bruno che, dopo un grande “rinascimento” per buona parte intriso dello spirito della costruzione religiosa, per l’influenza naturale della specifica committenza, “esce” fuori dal canone della “mera” dottrina per affacciarsi, impregnandosi del dolore del mondo reale, nella vita di tutti i giorni.
Il grande pensatore nolano, domenicano enunciatore di concezioni rivoluzionarie, afferma, proprio in quei tempi pericolosi per la libera espressione:
… io vi dico che i pittori sono filosofi.
È un pensiero teso a nobilitare l’idea come un’ispirazione iper-uranica del prodotto pittorico e quindi l’azione stessa del dipingere che trova appunto il giusto riscontro con la presenza innovativa nello scenario artistico di un grande pittore come Caravaggio.
Tale rinnovamento viene attuato attraverso quella che oggi definiamo, prendendo in prestito un termine dalla scienza astronomica, come la rivoluzione “caravaggesca”, non solo per gli originali nodi pittorici, ma perché questi vengono ispirati e completati con il contributo di una filosofia che indaga la realtà del mondo come fenomeno, quindi tende a valorizzare come fondamento della sua analisi un elemento “mancante”, volutamente trascurato da quell’arte fin qui destinata ad un ristretto contesto, privilegiato e dominato dall’albagia aristocratica: la presenza degli umili, cioè tutto il resto del mondo con gli emarginati… l’interezza, ovvero il popolo dell’Umanità.
Inoltre, non si può assolutamente perdere di vista, in questa verifica, l’altro polo della questione, cioè quel “contraltare” di riferimento verso il quale è indirizzata quell’azione magistrale, una sorta di sensibilizzazione profetica dell’Arte o anche di un’organica “operazione culturale” come oggi molto più semplicemente la intendiamo.
È l’esigenza della nostra psiche, unita da una “legge intima” di completezza delle nostre capacità di allargamento di quello spazio che si predispone alla conoscenza, del nostro naturale esistere che ci identifica come soggetti pensanti; un invito ad essere partecipi, come in questo caso, di un “viaggio” in una dimensione costituita dalle ombre e dalle luci di un artista straordinario, moderno oggi come nella sua contemporaneità.
Confortati dalla sua riconosciuta grandezza, possiamo esser facilmente profetici nell’asserire che se l’Ieri e l’Oggi sono in maniera incontrovertibile le radici del Futuro, così l’Arte e la maestria di Caravaggio continueranno ad esser tali, “traghettando” nella Memoria Eterna, un messaggio potente e profondamente umano.
Ho voluto quindi “artatamente” anticiparne l’itinere, in una indicazione che racchiude il “senso” di questo lavoro; asserendo che, in realtà, essendo io stesso un “uomo d’Arte” sono interessato ad un coinvolgimento corale che permetta, comprendendo in maniera analitica, l’espressione di un artista, di “aprire” nuovi spazi sensibili e una disponibilità verso tutti gli altri. Questo perché, rimanendo in tema, Caravaggio rappresenta, nel rapporto tra Arte e Potere, un punto “limite”.
Infatti, da quell’esperienza deriva una serie di cambiamenti successivi ed in modo sempre più marcato rispetto al pensiero umanistico che prima non esisteva nell’idealismo assolutista del mondo Antico e Classico.
Quei poteri si fanno via via più reazionari e decisamente più “ottusi” nei riguardi del livello “alto” del Pensiero, delle stesse scoperte scientifiche ed anche dell’emancipazione culturale, “basilarità” e caratteristiche necessarie alla sopravvivenza di ogni società civile che si ritenga tale, tendendo al mantenimento velleitario dei propri privilegi, accrescendo, quindi, il proprio autoritarismo, quella predisposizione al “comandamento” a discapito dell’autorevolezza che indica la Legge che si ispira all’assiomatica naturale.
Da allora in poi, la logica del sospetto, l’evidente incapacità di controllare il Libero Pensiero, del quale l’Arte stessa si nutre, emanandone gli effetti, sono motivazioni che ogni sistema di potere dominante ritiene sufficienti per colpevolizzare le espressioni culturali e mettere in atto tecniche anche “subliminali” di repressione ed emarginazione più o meno silenziose che, al giorno d’oggi, ancora permangono, perpetrate nei comportamenti, come delle prassi occultamente “legittimate” dall’esercizio stesso del potere.
Il Potere ed il suo speculare, il Contropotere, affermano di amare l’Arte; ma questo “pubblico afflato”, purtroppo, si manifesta solo dopo che, passato ormai il suo tempo, la si è fatta “rivestire” di particolari significati critici ed in linea con il “colore” smagliante della stessa tinteggiatura politica; e, invece, nel dare spazio alle “nuove” tendenze, all’interno di spazi programmati, preferiscono dar credito alle forme d’espressione più compiacenti.
L’artista, l’operatore culturale, è indotto così a conformarsi ad una dilagante mediocrità e a produrre conseguentemente, un’arte del “diletto”, minimale e di consumo culturale più immediato, per una “fruizione” dai sensi ormai addormentati o addirittura addomesticati.
Tali operazioni, non proprio onorevoli o dignitose, soprattutto in quei Paesi in cui il patrimonio artistico rappresenta la ricchezza più grande, si manifestano in forme e modi schematici, a volte bassamente elementari, tanto da essere proposti alla “massa” come un’elargizione “liberale”, una sorta di panem et circenses, di imperiale romana memoria.
Dobbiamo invece ritenere che, al contrario, sia necessaria al cammino dell’uomo, la dignità di un’Arte autentica capace di instaurare un dialogo nobile con la Gens… la Gente. La Gente è quell’umanità, quel preciso contesto sociale che possiede la propria identità ed ha insieme la profonda convinzione che, in maniera esclusiva, sia la libertà, che la conoscenza stessa del fattore umano, esigano sempre l’illuminazione della Verità.
Per riconoscere una qualsiasi verità o quella Verità che intuitivamente facciamo nostra, nel senso universale, dobbiamo imparare a riconoscerne tutti i segni; ciò significa, soprattutto, capirne nella totalità il suo linguaggio. Ma non è tutto così facile e scontato; si tratta, invece, di un processo lento, che richiede convinzioni e delle scelte di campo a volte anche dolorose.
Molto più facili, invece, sono le scelte legate al mondo della materia, ma la forza d’attrazione è tale che è molto difficile alzarsi in volo senza un adeguato esercizio trasformativo.
Caravaggio cerca questa Verità. Il suo quotidiano tormento e nel cercare la luce che non trova nel potere del mondo per ripiombare, invece, continuamente, nella schiavitù organica della carne e dei suoi vizi, nell’ombra, cioè nel lato oscuro dell’esistenza materiale.
Ma ben altro egli afferma in quelle sue immagini attraversate da spiragli fotonici, dalle luci che vivisezionano le tenebre in cui si svolgono le azioni delle vicende che rappresenta nel suo dialogo con i potenti committenti e con il forte Sistema, quel Dominion da loro stessi rappresentato.
È necessario affermarlo, perché, al di là di ciò che possono offrire le varie notizie storiche, questa può essere davvero la sola verità, cioè la sola “provata” del suo reale pensiero, del suo conflittuale rapporto nei riguardi del suo interno ed esterno potere dominante; quest’ultimo, simile per difetti e mai per pregi, a tutti gli altri da quando esiste il mondo.
E… noi scopriremo, poi, nel suo vero “diario”, in quella memnoteca del segno, della luce, del colore, una vera e propria pinacoteca iconografica della memoria, rappresentata dalla sua Opera artistica.
Nell’apparente verità scientifica che sempre dovrebbe avvalersi del “dato di fatto”, della realtà di una prova accertata; ciò che in effetti oggi conosciamo, degli avvenimenti della sua vita tormentata del rapporto con gli uomini, umili o potenti che fossero, è tutto in quel racconto generalizzato che si è via via formato attraverso la miriade di biografie, titoli e pubblicazioni, studi di letterari, storici ed esegeti, che inoltre procede e produce insieme ad una “critica” inserita nel solco di questa o di quella filosofia nel migliore dei casi, oppure nell’ideologia, nel caso peggiore.
È ormai chiaro a tutti che la Forma e la Sostanza sono da sempre un binomio con il quale si può “imbastire” una “diatriba” infinita. Nel sensi “ridotti” della nostra contemporaneità, per tagliare quel nodo gordiano, incapaci come siamo, di scioglierlo attraverso impegnativi esercizi logici, dettati dalla Ragione siamo abituati a confezionarci ad hoc un “escamotage” mentale dicendo a noi stessi di avere la “giusta” esigenza di “pianificare” il tempo, il nostro stesso tempo; affermiamo, così, senza avere l’ombra del dubbio, che “la Forma è Sostanza”.
Ma quell’ombra rimane, non solo quella del nostro dubbio, ma anche quella che insieme alla Luce che illumina la verità delle cose, nel mondo dei fenomeni, domina come in questo caso, l’Opera stessa di Caravaggio.
Per le nostre cognizioni consolidate, crediamo davvero che la forma sia sostanza, ma per onestà intellettuale, vogliamo e dobbiamo verificarne continuamente l’attendibilità, confrontando questa convinzione con il dilagare delle generalizzate “allotropie” che mettono le due concezioni in uno stato conflittuale, in una perenne discussione.
D’altronde, anche se tutto questo rientra nel consueto “esercizio” del cogitare e dell’essere, infine, tocca proprio a noi, suoi posteri, capire, attraverso metodi obiettivi, se nel caso in questione tutto quello che è stato costruito intorno alla figura del grande artista sia davvero consustanziato con le forme d’espressione da lui stesso manifestate.
La tela dipinta, l’opera d’Arte, è per lui, come per tutti gli artisti, l’equivalente di un lettino o di un divano per la psicanalisi, sul quale si fanno scorrere i dati più profondi dell’essere.
Caravaggio, tutta la sua storia, tutto il suo pensiero, sono in quella tela oscura, “sezionata” senza tentennamenti, in maniera scientifica dal “bisturi” della luce; in quel codice “Criptato” è la sua “vita di lavoro”, il suo Genio, le sue sregolatezze e… lì, sono anche i suoi tormenti esistenziali.
Il progresso umano è andato avanti, ma l’Arte continua a rimanere un linguaggio che non si riesce mai a penetrare completamente; riusciamo soltanto a memorizzarne le immagini “commentandole” con l’esperienza della nostra memoria, emotivamente con il nostro pensiero ed il nostro sentimento.
Questo è già un costruttivo risultato, perché rappresenta la capacità di disporre se stessi, la propria mente, come “prima polarità” per l’attivazione di un colloquio; ma per dialogare in profondità, per recepire il vero “messaggio” dell’artista, dobbiamo imparare anche a pronunciare la sua “lingua” particolare, ad utilizzare i suoi “ideogrammi”, gli schemi, i modi estetici e mentali. Non è facile, questo lo si sa; ma basta incominciare un cammino formativo e così, pian piano, si può costruire almeno quell’esperienza necessaria alla lettura.
Dato questo piccolo incentivo mi fermo, perché il discorso rischia di entrare facilmente nel gergo tecnico e sviarci poi dal tema centrale per il quale ci interroghiamo. La sintesi è cercare di capire Caravaggio attraverso Caravaggio; sentiamo, dunque, cosa vuole comunicarci, in maniera diretta e nel suo originale linguaggio artistico.
Autore Vincenzo Cacace
Vincenzo Cacace, diplomato all'Istituto d'Arte di Torre del Greco (NA) e all'Accademia di Belle Arti di Napoli, è stato allievo di Bresciani, Brancaccio, Barisani, ricevendo giudizi positivi ed apprezzamenti anche dal Maestro Aligi Sassu. Partecipa alla vita artistica italiana dal 1964, esponendo in innumerevoli mostre e collettive in Italia e all'estero, insieme a Giorgio de Chirico, Renato Guttuso, Ugo Attardi, e vincendo numerosi premi nazionali ed internazionali. Da segnalare esposizioni di libellule LTD San Matteo - California (USA), cinquanta artisti Surrealisti e Visionari, Anges Exquis - Etre Ange Etrange - Surrealism magic realist in Francia, Germania e Italia.
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