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Pregiudizio o falso giudizio

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Pregiudizio


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Nel seguire la strada maestra tracciata nella storia, a partire dai primi segnali della nascente civiltà, possiamo assistere a precoci atti di violenza, necessari per raggiungere il trascendente, condotti quasi a placare l’ira della divinità e a garantirsi la sua benevolenza.

Tali azioni, ritualizzate nel sacrificio, sono sempre state caratterizzate dalla presenza di una vittima, che rendeva tanto più sacra l’azione quanto più era importante la rilevanza sociale di chi veniva immolato.

Anche con la maturazione religiosa del culto della Grande Dea Madre, con la relativa società prevalentemente matriarcale, feroci sacerdotesse, spinte dall’ambizione politica, hanno portato la violenza sacrificale a consumare vittime umane.

Tale culto, che, comparso con la civiltà paleolitica, aveva accompagnato l’evoluzione dell’uomo nell’agricoltura, nel nascere delle scienze e delle arti, si inseriva in una società tipicamente matrifocale che, tuttavia, con il trascorrere dei secoli e con la proliferazione degli antropomorfismi, tutti al femminile, della Grande Dea, andava perdendo le caratteristiche moderate e tolleranti della società matriarcale.

Si arrivò così ad imporre nelle diverse culture, dalla celtica alla cretese, dalla sumera alla mediterranea, una serie di stereotipi divini con peculiarità sanguinarie e brutali, intimamente connesse al ciclo della vita, morte e rinascita, ma, nei fatti, finalizzate più a mantenere e delimitare i confini del potere politico in una società la cui evoluzione rischiava di sottrarsi al controllo della religione.

La violenza di genere maschile avrebbe generato le guerre, quella femminile i sacrifici umani. La violenza assume in questo caso un connotato ben preciso, si distacca e si sublima dai fatti materiali, terreni per associarsi ad una causa di tipo soprannaturale; serve a placare la necessità della morte per ricreare la vita.

Il sacrificio umano, spinto a volte sino all’ecatombe, in alcune delle sopravvissute civiltà con connotato fortemente matriarcale, diviene un elemento dominante della cultura ma finisce per distaccare ed alienare la comunità stessa dalla propria concezione del divino.

La transizione verso una diversa teologia ed una rescissione della violenza religiosa passano attraverso fasi storiche che miti e leggende ci raccontano e che fanno risorgere l’importanza dell’amore nel ciclo della morte e della rinascita. Nella plastica società greca Euridice, in Oriente la divinità di Shiva, sono il simbolo ed il segno di questa transizione, che aborrisce la prevaricazione.

L’equilibrio orfico ha riportato il fenomeno entro limiti morali, purtroppo solo per un tempo relativamente breve in quanto, quasi come reazione ai secoli di cultura matriarcale, l’arrivo dell’olimpo a prevalente componente maschile, e più ancora, le religioni esclusivamente monoteiste, hanno relegato sistematicamente le donne in ruoli socialmente subalterni, rendendole facilmente esposte, e spesso del tutto indifese, di fronte alla violenza fisica, all’ingiustizia, alla lapidazione sociale.

Questa fase di prevalenza del maschile è arrivata sino ai giorni nostri, passando per la crudeltà degli eroi greci e l’estrema barbarie degli olocausti recenti, ma mantenendo ben fermo il comune denominatore di rivolgersi verso la parte più debole e meno uguale della società.

I periodi di “caccia alle streghe” si sono susseguiti e sono stati in effetti caratterizzati da efferatezza su entrambi i generi, anche se quasi sempre quella nei confronti del femminile è stata persino peggiore del ferocia praticata nelle stragi più efferate.

In effetti, la sistematica persecuzione avvenuta in Europa tra il 1400 e il 1700 ha riguardato una specifica violenza di genere, essendo orientata, a volte anche per motivi economici, a colpire la popolazione femminile.

Spesso la persecuzione era diretta verso donne del popolo, alcune delle quali praticavano antiche professioni e conoscevano arti naturali dimenticate, ma di frequente verso quelle che avevano la libertà data dalle arti e dai mestieri e, di conseguenza, dalla relativa posizione economica.

Che la motivazione fosse il disagio, il terrore creato dalla diversità nell’ignoranza, dalla capacità manifestata di affrontare situazioni praticando e conoscendo antiche cure e rimedi naturali o dalla volontà di reprimere ed usurpare un’autonomia ed una libertà conseguite praticando l’arte di una corporazione, l’effetto risultava sostanzialmente lo stesso: angherie, tortura, sequestro dei beni, condanna a morte o comunque decesso per i supplizi subiti nell’assurda pretesa di ottenere confessioni di inesistenti colpe ed accordi con le potenze demoniache.

Per quasi tre secoli tali vessazioni si susseguirono nella civile Europa. Ma non solo questa violenza chiaramente di genere imperversò nel Vecchio Continente: nello stesso periodo la diversità di religione divenne, con l’identificazione dello stato con la religione canonica, elemento di oppressione.

L’eresia non fu palesemente violenza di genere, se limitiamo la definizione di genere al solo sesso, lo fu tuttavia se consideriamo la diversità comportamentale, etica e religiosa come una specificazione di genere.

I soprusi e le stragi degli eretici devastarono la civiltà con un numero di vittime più grande di almeno dieci volte rispetto a quello della caccia alle streghe. Anche nel caso dell’accanimento nei confronti dei sacrileghi le motivazioni furono spesso assai notevoli in campo economico, anche se mai tale verità venne lasciata trapelare, celata dal nobile manto della lotta per il trionfo della vera fede.

Nel nuovo mondo l’ultimo episodio di caccia alle streghe assai famoso accadde a Salem dove, proprio alla vigilia dell’indipendenza delle colonie britanniche e di quei principi democratici e liberali che stavano per sbocciare, sul finire del 1600, centinaia di donne furono imprigionate ed alcune decine di esse uccise, senza alcuna motivazione legale.

Ed arriviamo ai giorni nostri, senza dimenticare quante lacrime e quanto sangue siano stati versati nel mondo per le ragioni più disparate, con i genocidi e le stragi che hanno caratterizzato il secolo scorso e dei quali ci sarebbe da parlare per troppo tempo.

Guardiamo, nella nostra società come si sia evoluta la matrice della violenza, che è oggi in grado di colpire in modi assolutamente nuovi ed inediti lacerando la parte più intima e delicata della persona ed inferendo delle ferite morali così forti da lacerare, insieme con l’anima, la psiche ed il corpo fisico.

Da millenni era già stato osservato che la lingua poteva uccidere più della spada: oggi questa affermazione è più vera che mai, in quanto il valore sociale dell’individuo è spesso misurato e valutato dalla risonanza immateriale che una comunicazione apparentemente illimitata ci mette a disposizione.

Il pregiudizio ed il falso giudizio che hanno portato ai roghi delle streghe, agli obbrobri dell’inquisizione, imperano ancora oggi, con una forza culturale tanto intensa da portare il padre ad uccidere la figlia che si dovesse allontanare dai canoni sociali a lui familiari.

Vittima la donna, vittima la figlia di una cultura per noi obsoleta ed incomprensibile, ma carnefice e vittima anche il padre che, solo nella consuetudine sociale, trova quegli elementi che prevaricano addirittura la sacra legge morale.

E con questa giravolta storica torniamo indietro nel tempo, alle tavole della legge mosaica, che ancora oggi per noi definiscono un’importante legge morale e che dovrebbero essere alla base dell’etica comportamentale di ognuno di noi.

Autore Rosy Guastafierro

Rosy Guastafierro, giornalista pubblicista, esperta di economia e comunicazione, imprenditrice nel campo discografico e immobiliare, entra giovanissima nell'Ordine della Stella d'Oriente, nel Capitolo Mediterranean One di Napoli. Ha ricoperto le massime cariche a livello nazionale, compreso quello di Worthy Grand Matron del Gran Capitolo Italiano.