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Il vuoto del potere

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La prima arte che devono imparare quelli che aspirano al potere è di essere capaci di sopportare l’odio.
Lucio Anneo Seneca

Il potere è carisma, il carisma degenera spesso in narcisismo. Vado al dunque per essere sintetico e frontale in questo mio nuovo approfondimento.

Quando parliamo di potere non è difficile che sia evocato il fantasma di un assolutismo vissuto con parole che sanno di filo spinato e sguardi bassi ad accettare il vuoto di ogni fraseggio obbligato a subire, evocante il terrore che sa essere testarda sottomissione, protervia tentazione ad infondere pochezza ad unanimità, sterile risacca dell’intelligenza sacrificata. Proprio per questo riesce a farci vivere una doppia manichea sensazione: lo vorremmo possedere, lo temiamo.

Nell’antica Grecia con il termine “hybris” veniva identificata la superba tracotanza di chi ha raggiunto una posizione eminente e si sopravvaluta, condizione che porta l’uomo a sovrastimare la propria potenza e fortuna; con la conseguenza di opporsi all’ordine riconosciuto, divino o umano che fosse, con l’inevitabile conseguenza di subire una vendetta o un castigo.

Diviene significativo anche il rilancio che è insito nel termine greco ove è implicita la fatalità di una successiva punizione, divina o terrena: il fallimento, la caduta, la fine. Oggi più che mai il potere non logora chi non ce l’ha, ma avviene ad una funzione terapeutica.
Cura il fantasma che alberga in ognuno di noi di non avere una guida e un capro espiatorio.

Perché se è pur vero che l’uomo ha il desiderio morboso di comandare e identifica il potere come la possibilità di influenzare le decisioni altrui e le trame sociali che si sviluppano, è anche corretto pensare che, paradossalmente, subisce il potere come una necessità di essere indirizzato e difeso. È un processo che sommariamente può avere una chiave di lettura ambigua ma, a ben riflettere, ci lascia comprendere il peso tormentato che vive chi ha potere.

Può abusare e commettere nefandezze oscure, assottigliare al nulla gli antagonisti e legittimare slealmente i suoi interessi privati, ma, per assurdo, lo status dell’uomo forte, dell’uomo solo al comando, per quanto calunniato, detestato, accusato, contrastato, a volte diviene l’unica certezza o speranza a cui molti, spesso la maggioranza, si aggrappano.

Ogni potere cerca di stimolare e di abituare la fede nella propria legittimità. A seconda della specie di giustificazione a cui pretende o protende, è però fondamentalmente diverso anche il tipo dell’obbedienza, dell’apparato amministrativo individuato a sua garanzia, del carattere dell’esercizio del potere e, dunque, anche la sua efficacia.

Quando veniamo stanati e ci occorre credere razionalmente ad una forma di autorità, legale o meno che sia dipende dall’elevato impatto emotivo e dalla sfera di interesse personale che viene intaccata, perdiamo l’urgenza che normalmente affidiamo ad un valore principe della nostra esistenza, la libertà, quindi la nostra assurge ad un’obbedienza cieca ed essenziale, “ecclesiastica” e ortodossa, antidemocratica anche se il consenso è pieno.

Ci si concede al potere carismatico dettato dalla sacralità dell’uomo più che dall’evento.
È una fiducia personale nella sua esemplarità e nelle virtù del suo apparato. Si crede al rivoluzionario o al combattente, all’uomo nuovo, che viene dal passato, ma ha cambiato maschera, nella sua penetrazione simpatetica.

Spesso, questo potere si paventa come servitore dello Stato, delle istituzioni, si muove con passo tradizionale, vomitando contro la storia e offrendo una lauta ricompensa riformistica che mai verrà attuata. La posizione ad obbedire poi, può essere menzognera e generata dal singolo o da interi gruppi soltanto per motivi di opportunità, può essere accettata come inevitabile per debolezza e per bisogno di protezione.

Tutto questo non è però risolutivo per una classificazione. Genericamente dichiariamo che l’uomo di potere impara a vedere la realtà nel modo più materialista possibile, evitando qualsiasi stato emotivo.

È logico attendersi che, dal suo punto di vista, la vita sia soltanto un immenso gioco in cui qualsiasi azione, affermazione e presa di posizione degli altri siano atti volti a guadagnare influenza sulla scacchiera. La loro idea è, dunque, quella di imparare ad essere strategici per non finire mangiati, presto o tardi, da un’altra pedina e per dominare lo spazio e il tempo che gli appartengono.

Da qui la deriva del popolo che, attribuendogli doti e arti miracolose, si è assuefatto a seguirlo: oggi, infatti, nel grande vuoto della nostra democrazia hanno preso forza oligarchie, non élite o classi politiche; tra i due concetti, infatti, necessiterebbe fare i doverosi distingui dottrinari, aventi, come unica ambizione, quella di essere proprietarie del potere.

Il processo si decide sul principio relazionale che statuiscono con il popolo, compiacendolo secondo rabbie, paure, sentimenti veri, aspettative diverse, fuori dai meccanismi della ragione e di quanto comportano quelli della democrazia.

L’affermarsi di un simile sistema che viene venduto per politica è, al giorno d’oggi, incubato e favorito dalla mediatizzazione. E senza attribuire naturalmente colpa ai social, assistiamo a risultati devastanti. Un processo degenerativo che facilita l’opportunismo e le frustrazioni. Dove la gente viene cacciata e si lascia cacciare dalla politica e nel quale si nega la forza del consenso. È la vera legittimazione del potere, quella di poter fare a meno del popolo, da qui il passo alla negazione dello Stato di diritto.

Dobbiamo fare molta attenzione a questi giorni e alla loro volubilità. L’uomo sta affrontando un nemico con cui mai si era così battuto e, soprattutto, che pensava fosse relegato nei libri della storia come un ancestrale ricordo di un passato oscuro e indifeso.

Oggi sappiamo che non è così: rispetto ai secoli scorsi, abbiamo la tecnologia che può aiutarci, ma anche spiazzarci e confonderci; progressi scientifici e medici che ci danno garanzie ma che hanno anche mostrato debolezza; una società che muta costantemente ed è aggredita da fenomeni endogeni mai veramente approfonditi che non portano ad una vera e propria rinascita, piuttosto ad una letargia e ad una immobilizzazione delle componenti più significative della sua rete di intellettuali, storici, scienziati, economisti.

Non si può conoscere veramente la natura e il carattere di un uomo fino a che non lo si vede amministrare il potere.
Socrate 

Paradossalmente, nelle epoche precedenti ci si affidava ad una visione teocentrica, con derive ambigue e drammatiche, ma che nei conflitti e nelle oscene diversificazioni non permetteva comunque l’arresto di ogni moto di ribellione, né bloccava la volontà di intraprendere un percorso netto di sviluppo e crescita dell’umanità.

I fenomeni e mutamenti di cui stiamo discutendo richiamano in causa in linea retta ogni potere sociale, in particolare quello politico, che obbliga appunto ad assumere decisioni collettive aventi forza vincolante e fornite di consenso, anche se non sempre.

Oggi più che mai il potere più alto è quello che è in grado, in base ai suoi principi, risorse, modelli, finalità, di calibrare il flusso delle persistenze e delle trasformazioni, altrimenti caotiche, e di costruire, intorno a questa attività regolatrice, un senso collettivamente condiviso. Difatti, ogni potere, anche quello più rivoluzionario e innovativo, è sempre una realizzazione sociale ancorata nel passato, per la precisione in quelle parti di esso che seleziona e da cui il potere stesso rimorchia essenziali risorse materiali e simboliche.

L’ambiguo vuoto di oggi è la calunnia della Storia alle nostre spalle, l’incapacità a sottrarci alle nostre lusinghiere menzogne. La stabilità e l’efficienza della politica si stabilisce sulla sua capacità di garantirsi un livello sufficiente della volontà popolare democratica, o come nei poteri autenticamente carismatici e tradizionali, è nella sua auto-legittimazione che viene interiorizzata.

Alcuni vivono per la politica, molti della politica.
Max Weber 

In conclusione, possiamo affermare che il gioco del potere sta cambiando e la democrazia liberale vive una crisi dai due volti. Da un lato, l’avanzare del populismo, la fine dei partiti, il leaderismo, l’influenza del potere giudiziario costituiscono il nuovo codice genetico della sovranità statale. Dall’altro, sul tavolo della politica internazionale sono evidentissimi i dissesti delle ipocrisie della tutela dei diritti umani.

Ne stanno fallendo i meccanismi: è in atto uno sgretolamento della politica dovuto soprattutto alla debolezza delle democrazie occidentali nel fronteggiare i grandi cambiamenti imposti dall’avvento della globalizzazione, delle nuove tecnologie, delle sfide geopolitiche.

… Era impossibile che gli italiani reagissero peggio di così a tale trauma storico. Essi sono diventati in pochi anni (specie nel centro-sud) un popolo degenerato, ridicolo, mostruoso, criminale. Basta soltanto uscire per strada per capirlo. Ma, naturalmente, per capire i cambia- menti della gente, bisogna amarla. Io, purtroppo, questa gente italiana, l’avevo amata: sia al di fuori degli schemi del potere (anzi, in opposizione disperata a essi), sia al di fuori degli schemi populisti e umanitari.
Si trattava di un amore reale, radicato nel mio modo di essere. Ho visto dunque “coi miei sensi” il comportamento coatto del potere dei consumi ricreare e deformare la coscienza del popolo italiano, fino a una irreversibile degradazione. Cosa che non era accaduta durante il fascismo fascista, periodo in cui il comportamento era completamente dissociato dalla coscienza.
Vanamente il potere “totalitario” iterava e reiterava le sue imposizioni comportamentistiche: la coscienza non ne era implicata. I “modelli” fascisti non erano che maschere, da mettere e levare. Quando il fascismo fascista è caduto, tutto è tornato come prima.”.
Pier Paolo Pasolini – ‘Il vuoto del potere in Italia’

Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.