Neapolis – Puteolos attraverso l’antica via Antiniana
12 luglio 2020
Antignano ha conservato l’antica struttura più o meno inalterata.
Qui si dividono tre strade:
1) via San Gennaro ad Antignano che si congiunge attraverso piazzetta Antignano a Largo Antignano;
2) via Annella di Massimo;
3) via Antignano.
Dalla carta del Carafa, 1775, in cui il villaggio è indicato come ‘Casale detto Antiniano in oggi Antignano’, la prima corrisponde alla ‘strada di Antignano’ che si innesta nella ‘strada dell’Infrascata’ che congiungeva la collina a Napoli. All’incrocio di queste due è indicata una ‘Cappella Romitorio’.
Via Annella di Massimo è anch’essa la ‘strada di Antignano’, mentre la terza viene indicata come ‘strada che porta all’Arenella’ da cui si diparte ‘strada delle case puntellate’ che arriva alla Masseria dell’Architiello dove era, ed è ancora, presente la chiesa della Concezione all’Architiello e da qui alla ‘strada che porta a Succava’, che, in direzione opposta, diviene ‘strada che porta all’Architiello’, corrispondente all’odierna via Pigna.
C’è da dire che nel mezzo delle due indicazioni il Carafa e il Carletti indicano la strada anche come ‘di fuori Grotta’.
Ritornando alle tre strade, queste formano una lettera Y, in cui il braccio verticale corrisponde al Largo Antignano. Il ramo d’oro è qui tracciato in cima alla collina a pari modo di come lo è a Forcella, chissà, forse i pitagorici trovarono anche in questo luogo un loro ‘luogo’. Li immagino qui alle spalle del tempio di Giove Olimpio che Pontano suppose esistere in cima al Limpiano.
E proprio Giovanni Pontano, intorno al 1472, eresse in questo punto la propria villa, come ricordato da due iscrizioni marmoree al civico numero 9 di via Annella di Massimo:
Praedia aedes antiniane oilm I. Ioviani Pontani Ferdinando Alphonsoque regibus ac sapientibus h celebres heu temporum incuria attrite Don Petrus Osorio de Figueroa Pomaria Vivaria palatia genio suo candidis amicis cuntis merentibus letiora latiora restituit A D MDCXXVI.
Ferdinando I.P.F.A. Regni Utriusque Siciliae Rege Providentissimo hasce aedes cum praediis ubi Ioannes Iovianus Pontanus dum de re litteratorum publica ac de neapolitano regno optime merebatur rusticari consuevit postquam nobilis Ossorii Calà progenies annis P. M. CC. In meliorem cultum splendoremque redegerat Antonius de Simone domus augustae architectus instauravit ornavitque A. R. S. MDCCCCVIII a confectis emtionis syngraphis anno V.
Irriconoscibile qualsiasi accenno ad un’opera, ad una struttura del quattrocento. Dopo la morte del letterato e politico la decadenza prese il posto degli eredi e passò, nei secoli, a uomini incuranti della storia e del patrimonio comune trasformando l’edificio in un anonimo condominio.
La targa sul palazzetto bianco con la facciata ad arcate indica che i Borbone installarono il Dazio:
Qui si paga per gli regi censali.
Lascio Antignano attraversando il luogo dove un tempo sorgeva il limite del casale vomerese. La strada prende il nome di Annella di Massimo, nata Diana de Rosa nel 1602. Pittrice in una famiglia di pittori e circondata da artisti. Allieva di Massimo Stanzione, la leggenda riportata da de Dominici la vuole uccisa per gelosia dal marito, il pittore Agostino Beltrano. Il documento di morte, però, fuga ogni immagine leggendaria affermando che la morte sopraggiunse nel 1643 per malattia.
In via Belvedere era posta la VII pietra miliare. La struttura della seicentesca villa Vandeneyden, poi Carafa di Belvedere, è ancora intatta. Mi inoltro nel vialone che conduce all’antica fabbrica con la terrazza che avvolge il mare e il cielo in un unico abbraccio. Ritorno sui miei passi fermandomi qualche minuto nell’esedra costruita in mattoni di tufo di fronte al portale di accesso sulla ‘strada del Vomero’.
La strada porta con sé tracce di storia spesso nascoste, non fa eccezione questa. Poco più avanti la chiesa cinquecentesca di Santa Maria della Libera, oggi, dopo vari rimaneggiamenti, è quasi spoglia del suo antico aspetto.
Due ville si affacciano su questa strada prima di divenire via Santo Stefano: la prima è villa Regina, dal nome del Duca Capece Galeato della Regina che la fece erigere nel 1579 come residenza di campagna, dopo essersi ritirato dalla vita pubblica.
All’interno pose una lapide in cui ricorda di come la decisione fu prese per seguire le orme di Cincinnato. La villa è quasi del tutto esclusa alla vista. L’alto muro continua fino alla Masseria Pagliarone.
Qui ebbero inizio le Quattro Giornate di Napoli, come ricorda la targa in marmo:
Qui alla Masseria Pagliarone il 28 settembre 1943 si accese la prima scintilla delle Quattro Giornate Napoletane. Di quelli che caddero sotto il fuoco nazista il ricordo resta imperituro.
Si dovrebbe accompagnare qui i ragazzi di ogni età per trasmettere loro la memoria e l’insegnamento di questo luogo. I luoghi educano, come questa strada, dobbiamo solo ascoltare e lasciarci prendere dal racconto.
Via Belvedere si unisce a via Santo Stefano, per poi proseguire costeggiando l’istituto ‘Domenico Martuscelli’ fondato nel 1873 proprio dal geniale intellettuale. Questi era figlio di un insegnante di calligrafia dei principi della casa reale di Napoli, subentrando poi al padre nell’insegnamento della scrittura ai ciechi della Casa di San Giuseppe e Lucia.
Fu in quel periodo che decise di fondare una scuola che consentisse ai non vedenti di avere una formazione più adeguata per essere poi inseriti dignitosamente nella società, così nel 1873, il Municipio di Napoli mise a disposizione due stanze dell’ex convento Caravaggio. In quell’anno iniziò il primo corso di scuola elementare. Oggi l’istituto è morto, abbandonato a se stesso dalla politica, lasciato al vento del tempo che lo porterà via insieme alla polvere. E tutto questo è assurdo.
Nel Settecento Marco di Lorenzo, proprietario di alcuni suoli sull’odierno corso Europa, eresse la chiesa, ancora presente ma chiusa, dedicata a Santo Stefano, poi ceduta ai camaldolesi che lì avevano un podere, probabilmente dove oggi sorge Villa Salve, eretta dai Gallone duchi di Salve per poi passare ai Winspeare.
Di fronte all’edificio religioso c’è la strada che porta il nome di ‘Fosso Santo Stefano’ in ricordo del ‘Fosso’ qui presente che scendeva a valle, oggi scomparso ai piedi dei palazzoni atti a schermare dalla luce, perché Napoli è anche questo: il ripudio della luce attraverso la cementificazione.
Il cammino sta per avere la prima svolta nel valico della collina. Da un lato la strada prosegue verso Posillipo, dall’altro, invece, inizia la discesa della Canzanella, ora soppiantata da via Michelangelo da Caravaggio. Un lungo serpentone che collega la collina a quello che era il villaggio ‘fuori la grotta’. Qui il VI miglio che arriva fino ad intercettare il rione ‘La Loggetta’.
L’odore degli alberi di fico mi accompagna lungo via Caravaggio.
In mente ho il quadro di Vincenzo Montefusco che, nel 1872, dipinse una contadina ferma di spalle tra via Manzoni e la Canzanella ad osservare Nisida. Un punto ormai divorato dall’ingordigia dell’uomo.
Le campane di qualche chiesa vicina scandiscono parte dei miei passi. La discesa dal colle acquista una propria dimensione. Il costone su cui poggia la strada è cosparso di una fitta vegetazione fatta di rovi, fichi e campanule viola, che coprono interi tratti con tappeti colorati.
Il mare è lì in fondo che giace sotto il sole. Le navi mercantili, le vele lontane sembrano fisse in attesa del ritorno al movimento di un meccanismo posto sotto lo specchio d’acqua. Ruote dentate, ingranaggi di una natura non più in grado di sopportarci.
Il marciapiede di fronte ospita una donna anziana in tuta rosa e nera che cammina in senso apposto la mio. Mi saluta alzando la mano mentre, probabilmente, ascolta musica attraverso gli auricolari che le tappano le orecchie, ignara del tempo che le scorre intorno.
Ecco, ai piedi della collina, il rione ‘La Loggetta’ dove la via Mario Gigante ha quasi interamente inglobato il tratto della via ‘per colles’, così come ipotizzato da Johannowsky, lungo curvone che termina su via Terracina. Il V miglio.
Il viaggio a ritroso verso Pozzuoli attraversa uno dei nuovi rioni costruiti a partire dal secondo dopoguerra dall’INA-Casa per gli operai delle industrie siderurgiche, la cui progettazione fu guidata da Carlo Cocchia. Le foto di Paolo Monti degli anni cinquanta mostrano la pienezza delle linee che si sviluppano attraverso cubi immersi in un cielo asettico in bianco e nero. Oggi la decadenza e l’incuria trascinano queste linee dentro percorsi tortuosi fatti di intonaci caduti, anime di ferro in vista, strade serpeggianti che si sviluppano per superare l’indiscrezione scostumata dei rifiuti.
Si staglia rosso nel cielo azzurro, come a forarlo, ad oltrepassarlo, il campanile della chiesa della Beata Vergine Immacolata di Lourdes. Una freccia lanciata a richiamare l’attenzione degli Alti Troni.
La curva larga mi conduce fino a via Terracina, mostrandomi prima i resti di una casa divorata da piante e da lamiere arrugginite, dal tempo e dall’uomo. Decadenza sotto il sole di una domenica di luglio. Decadenza dal manto azzurro.
Autore Fabio Picolli
Fabio Picolli, nato a Napoli nel 1980, da sempre appassionato cultore della conoscenza, dall’araldica alle arti marziali, dalle scienze all’arte, dall’esoterismo alla storia. Laureato in ingegneria aerospaziale all'Università Federico II è impiegato in "Leonardo", ex Finmeccanica. Giornalista pubblicista. Il Viaggio? Beh, è un modo di essere, un modo di vivere!