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‘Il pane quotidiano’: intervista a Danilo Rovani

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L’artista partenopeo racconta, in anteprima ad ExPartibus, il cortometraggio da lui scritto, diretto ed interpretato

Danilo Rovani, stella luminosa del palcoscenico napoletano, che abbiamo più volte intervistato e recensito da questa stessa testata, torna a far parlare di sé con il suo ultimo lavoro, ‘Il pane quotidiano’, corto di cui ha curato sceneggiatura e regia e in cui recita nel ruolo del protagonista maschile, presentato in collaborazione con Manuela Misuraca, che gode del patrocinio del Comune di Falciano del Massico (CE), e per il quale è in cerca di una società di distribuzione.

Un artista a tutto tondo, attore teatrale, cinematografico e televisivo, regista, cantante e danzatore di canti e balli popolari, come tammurriata e pizzica pizzica, ci incantò anni fa con la sua voce profonda e con la sua possente presenza scenica in un reading teatrale per conquistarci, definitivamente, con la sua innata ironia e, da allora, non abbiamo smesso di seguirlo ed applaudirlo in qualunque veste professionale appaia. Talento puro il suo. Il fatto poi che sia anche una persona speciale, empatica e di rara umanità lo rende un amico prezioso.

Un delicatissimo cortometraggio della durata di 20 minuti, incentrato sul rapporto tra un padre e una figlia e la sua educazione sentimentale, su di un “uomo per metà guerriero e per metà poeta, un po’ come gli eroi dei romanzi”, come dirà Maurizio alla sua Melissa, che, come tutte le donne, “è nata guerriera, capace di sopportare molto più di quanto sia capace di sopportare qualsiasi altro uomo”.

Nel cast anche gli ottimi Arduino Speranza, Marika Bertoloni, Denise Capuano, Luca Lombardi e Chiara Vitiello. Splendide musiche di Daniele Sepe, bellissima fotografia di Peppe De Muro.

La sensazione che si prova dopo averlo visto è una dolce malinconia che lascia però aperti universi di speranza. Tanti gli interrogativi che solleva, per cui decidiamo di approfondire.

Danilo Rovani

Danilo, com’è nata la sceneggiatura?

L’intento era narrare una storia diversa, quella di un padre single, Maurizio, che deve affrontare il dramma sociale della precarietà e del lavoro in nero per garantire una sorta di tranquillità domestica alla figlia, a cui vuole dare un’educazione sentimentale più che civica. Come spesso accade, ma se ne parla poco, ci sono madri che trascurano la prole, preferendo seguire i propri sogni, perché il senso materno è poco presente, e padri che si assumono delle responsabilità importanti.

Partendo dall’assunto del pensiero di Jacques Lacan, l’agire in conformità al desiderio che ci abita, il suo lavoro di padre è raccontare come questa ragazzina possa diventare poi una donna libera, indipendente, che non sottostia all’egemonia maschile, che faccia della sua vita ciò che ritiene opportuno, nel migliore dei modi.

In un suo momento di smarrimento, Maurizio le spiega che la madre non è cattiva e, anche se in qualche modo la sta ferendo, sta solo seguendo la sua natura, tenendo fede ai suoi valori, a se stessa, che è la cosa più importante.

Due piani temporali diversi, l’adolescente piena di sogni e di interessi alla scoperta del mondo e la donna forte, realizzata, dai tratti sensuali, esattamente ciò che il padre sperava.

La scelta del titolo è poetica, ma innanzitutto simbolica, ancestrale, e rimanda al perenne ciclo della vita che, in fondo, è presente in tutte le tue opere. Se in Mantrika l’elemento principale è il fuoco ne ‘Il pane quotidiano’ questo è la base di partenza per poi dar spazio a terra, aria e acqua. Perché torni sempre ai quattro elementi comuni a tutte le cosmogonie?

Perché credo sia un mio modo di raccontare e di raccontarmi. Esulo sempre da un discorso religioso, come in ‘Mantrika’, che, sebbene ambientato in un circolo di religioni, parte dal profondo, dallo spirituale e, quindi, dai quattro elementi di cui siamo costituiti. Siamo istinto, impulso, ragionamento, deduzione. Siamo una sorta di ameba ancestrale che ancora non si è definita chiaramente. Siamo in continua evoluzione, per cui non si può prescindere da questi elementi né da quella che è la spinta primordiale.

Come mai è ambientato a Falciano del Massico (CE) e perché proprio nel periodo natalizio?

Per il tipo di storia avevo bisogno una realtà più raccolta, intima. Crescere una figlia da solo, in un contesto ristretto, anche rurale, dava una forza maggiore ai personaggi che, in un paese, possono essere supportati da parenti, amici, vicini di casa.

La descrizione di uno spaccato di vita in una metropoli, invece, sarebbe stata meno incisiva e troppo distraente, anche nella sua crescita. Soprattutto mi serviva un luogo accogliente per la Melissa adulta, che, raggiunto il successo con la pubblicazione del suo libro in tutto il mondo, torna alle origini accompagnata dall’autista in un macchinone in occasione del funerale del padre.

Tramite l’indispensabile supporto della mia amica Manuela Misuraca ho creato questo progetto patrocinato dal Comune di Falciano del Massico, che ci ha aiutato moltissimo anche per le location durante il sopralluogo in cui mi hanno fatto scoprire la bellissima montagna e il suggestivo lago.

I proprietari della casa in cui sono girati gli interni, Renato e Lina, sono stati adorabili, come una seconda famiglia, prodigandosi per tutti noi nei quattro giorni in cui abbiamo effettuato le riprese, invadendo i loro spazi. Ognuno di noi è stato contagiato da questa sorta di affetto che c’era nell’aria: straordinario.

Il periodo natalizio è stato usato in maniera abbastanza pratica, dato che abbiamo girato proprio i primi di dicembre e, con la scenografa, Rossella Garelli, abbiamo pensato di racchiudere il suo ricordo in un preciso periodo, il Natale, appunto, che più rimane impresso nella memoria e nel cuore delle persone.

Ad aiutarci nel trucco e parrucco è stato il papà della Melissa giovane, Marika Bertoloni, che ha un negozio di parrucchiere. È stato tutto un conglomerato di accadimenti, persone estremamente disponibili.

Luoghi chiusi ed inquadrature ravvicinate contrapposte a spazi immensi e riprese dall’alto. Cosa volevi sottolineare, il senso di libertà, la voglia di evasione o altro ancora?

Un po’ tutto. Come diceva Pasolini, quando lavoro dietro la macchina da presa voglio far sì che un’inquadratura possa essere una sorta di dipinto, difatti, la prima scena nell’appartamento è molto stile Hopper, con toni scuri, lui sfocato sul fondo, lei in primo piano, mentre quella nel bar con il biliardo rimanda a ‘Il caffè di notte’ di Van Gogh.

Uso anche molti riferimenti cinematografici perché mi sono formato con un determinato tipo di cinema, sono passato da un tono francese ad uno spagnolo: l’arrivo della madre davanti al camino, ad esempio, per la scelta dei colori ricorda Almodóvar.

Ho usato un linguaggio molto cinematografico, anche grazie ai tempi dilatati di un certo tipo di cinema, che permette di raccontare la voglia di evasione, di libertà, usando spazi aperti, campi larghi e con il supporto del drone, grandi inquadrature, ma anche l’intimità di alcuni rapporti, restando sul particolare.

Ho lavorato molto su due chiavi registiche: sono stato lento e con movimenti di macchina molto presenti e fluidi attraverso l’utilizzo di una sorta di steadicam, la gimbal, fino ad un certo punto, poi, con l’arrivo della madre, salendo la tensione, ho cambiato registro e sono andato sullo sporco dello spallaccio, sullo stile dogma di Lars von Trier, senza nemmeno staccare troppo, sempre di sequenza, con più azione, in maniera più presente. Insomma, ho fatto delle scelte ben precise.

Moltissimi i riferimenti autobiografici, ma soprattutto all’Amore in tutte le sue possibili sfaccettature. Quanto questo sentimento è stata la molla propulsiva di tutto il progetto?

L’Amore è il motore di qualsiasi cosa io faccia. L’Amore per l’Arte, per le persone, siano esse familiari o amici, che si tratti di un racconto di intrattenimento puro o che abbia un messaggio preciso. L’Amore in tutte le sue sfumature e possibilità.

Tant’è che io ho lasciato aperto il rapporto tra due personaggi, quelli interpretati da Arduino Speranza, Enea, e Luca Lombardi, Alfredo, perché chi lo vede possa pensare che siano due fratelli, due amici, due compagni, o, semplicemente, padre e figlio. Ciò che mi interessava evidenziare è che vivessero come una coppia di fatto; la famiglia, infatti, può essere qualsiasi cosa.

Tematiche importanti come la malattia, la sofferenza, la fragilità ma anche la forza del combattente nato che, nonostante le batoste della vita, si rialza sempre e, tenendo ben fisso il suo obiettivo, finisce con il fare la bellissima danza della farfalla. Ti sei raccontato, ma da una prospettiva diversa…

Esattamente. Come continua a dire Maurizio, bisogna agire in conformità al desiderio che ci abita, che, nel suo caso, corrisponde con lo spianare la strada alla figlia, la sua ragione di vita, per cui si sobbarca a fare più lavori contemporaneamente, anche il pugile, pur di darle tutto ciò di cui ha bisogno per la sua crescita, formarsi nello sport, nella musica, nella letteratura, com’è giusto che sia. Forse è stato proprio tutto questo iperlavoro a debilitarlo al punto da morire anche abbastanza giovane.

Un corto malinconico, delicato eppure pieno di speranza. Come e in base a che cosa hai dosato le diverse sfumature affinché il risultato fosse colto ma non altezzoso, struggente ma non angoscioso?

Credo di averlo fatto in maniera istintiva, inconscia, dato che io sono così: abbastanza struggente ma molto positivo e penso che la vita sia un po’ questo: la risata nel quotidiano che, a volte, non è proprio leggerissimo. Ecco perché lo stesso Enea stempera la tensione e, soprattutto, ho optato per la propositività del finale aperto.

Oltre a scrivere il testo e a dirigere il cast, hai anche recitato. Quali le maggiori difficoltà incontrate in questa triplice veste, ammesso ce ne siano state?

La difficoltà maggiore è che quando sei dietro la macchina da presa hai modo di vedere una creatura che nasce e cresce, quando, invece, ti poni davanti come attore devi necessariamente affidarti a persone di cui hai massima fiducia. Peppe De Muro, per la fotografia, e Marco Tartaglia, come aiuto regia, sono stati il mio occhio esterno mentre recitavo.

Ovviamente, finito il ciak, rivedevo subito la scena al monitor, cercando di capire se l’inquadratura, il movimento di macchina, l’interpretazione fossero quelli che volevo. Sentivo molto vicino il personaggio del padre, anche per una questione di complicità che si è via via creata con Marika e sarebbe stato difficile affidare quel ruolo ad un altro, sarà una cosa che farò prossimamente, quando mi cimenterò in una nuova sceneggiatura, restando totalmente dietro la macchina da presa.

Recitativamente preferisco fare l’attore di teatro, sentire il respiro del pubblico; cinematograficamente prediligo la direzione, veder prendere corpo e sostanza a quelle che sono solo delle idee.

Su cosa hai basato la scelta del cast e delle musiche?

Soprattutto sull’umanità delle persone.

Marika Bertoloni, la protagonista adolescente, che ho provinato lì insieme ad una quindicina di coetanee, è stata un dono dal cielo. Fu la prima a venire e facevo in cuor mio tifo per lei perché, fin dal primo incontro, avevo intravisto il suo potenziale. Quando nei call back è tornata preparata, dopo le indicazioni che le avevo dato, mi ha completamente stregato.

È una ragazza con tanti interessi, sportivi e sociali, piena di talenti, tra cui quello per la recitazione, che spero continui a coltivare, così come mi auguro di poterla coinvolgere ancora in progetti futuri.

Con tutti gli altri, che stimo moltissimo, c’è un rapporto personale e professionale consolidato, dato che li frequento da anni.

Denise Capuano ha già una sua cifra, oltre ad avere un bell’aspetto cinematografico, un bel volto, un bellissimo primo piano e una certa somiglianza con Marika, che è lei da bambina. Arduino Speranza è un artista straordinario, che rendeva benissimo il personaggio che avevo in mente. Luca Lombardi tendo addirittura a proporlo anche quando non sono direttamente coinvolto. Infine, volevo Chiara Vitiello perché ne conosco le capacità.

Per le musiche pensavo a sonorità particolari e ricordandomi di uno spettacolo teatrale di Mario Martone in cui io recitavo e Daniele Sepe si occupava delle musiche, l’ho contattato. Siamo amici da più di vent’anni, è stato carinissimo, prima ancora di vedere il corto si è messo a disposizione, regalandomi dei brani straordinari.

Quali i canali di distribuzione previsti, considerando che siamo in un periodo particolare in cui è difficile poter fare previsioni a lunga gittata?

Sto cercando di capire quale società possa assumersi l’onere distributivo per proporlo a concorsi e festival. Mi auguro possano venir fuori delle collaborazioni proficue. A giorni si avrà esito per alcune selezioni, ma preferisco non sbilanciarmi al momento. Per ora, lo sto facendo girare in forma privata, per eventuali suggerimenti.

La speranza generale è che ‘Il pane quotidiano’ possa essere un viatico per un progetto registico e cinematografico migliore, usando la stessa magnifica squadra e crescere tutti insieme. Un’idea di fondo per la sceneggiatura l’ho già, sarà una storia profonda, intensa, sull’Amore salvifico… ma ne parleremo al momento opportuno.

Aiuto regia di Marco Tartaglia
Operatore Peppe De Muro
Aiuto operatore Deborah Veneziano
Elettricista Antonio De Muro
Scene e costumi Rossella Carelli
Fonico di presa diretta Massimo Pennino
Missaggio audio Luca Ranieri
Operatore drone Filippo Capasso
Fotografo di scena Tony Lombardi
Assistente regia Antony Della Ragione
Ispettore di produzione Vanni De Stefano
Organizzatore Manuela Misuraca
Aiuto scenografo Renato Abate
Catering Pasqualina Donatiello
Trucco Elena Bellegambe
Parruco Gianni Mirame hairbeauty

Ringraziamenti speciali:
Amelia Ullucci
Angela Gnasso
Mario Vitale
Antonietta Gnucco
Paola Eposito
Emanuela De Marco
Daniela Cenciotti
Matilde Misuraca
Mariacira Borrelli

Service
IDF Services

'Il pane quotidiano'

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Autore Lorenza Iuliano

Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.