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Sincronicità e coincidenze

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Carl Gustav Jung e Wolfgang Pauli


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Il caso non esiste, e ciò che ci sembra casuale scaturisce dalle fonti più profonde.
Friedrich Schiller

Riusciremo a resistere? L’incubo che Richard Matheson raccontò nel suo capolavoro ‘Io sono Leggenda’ può diventare realtà? Nel libro un’epidemia causata da un batterio ha trasformato l’umanità e le creature viventi di tutto il pianeta in vampiri. L’unico non infetto è Robert Neville, che, chiuso nella sua abitazione elevata a fortino, esce solo di giorno per raccogliere quello che gli occorre a sopravvivere. Si mette a studiare un antidoto approfondendo con libri scientifici e attrezzature adeguate da laboratorio.

Evito di spoilerare il finale, consigliandovi la lettura del libro e tralasciando la versione cinematografica imposta dai canoni hollywoodiani, ma le ultime parole sono molto significative:

… il cerchio si chiude.
Un nuovo terrore nasce nella morte, una nuova superstizione penetra nell’inespugnabile fortezza dell’eternità…

Siamo lontani da questo finale tenebroso e dalle più diverse e temerarie chiavi di lettura che possiamo prendere in considerazione, ma resta assodato per tutti che la delicatezza del momento, la gravità e la criticità che stiamo continuando a vivere da giorni, ci impone una forte riflessione sull’uomo e sugli eventi che causa o che sono frutto del divenire.

È il tramonto delle nostre certezze?

Gli elementi che abbiamo a disposizione per qualificare questa dimensione della società, per quanto razionale, vivono dell’erosione del tessuto sociale, del furoreggiare di un processo omologante e appiattente della globalizzazione che è in netta opposizione al dilagare articolato e scomposto dei localismi e dei nazionalismi.

Le certezze sono congelate e ogni proposito hegeliano di vedere il mondo e la sua storia come una rappresentazione del processo divino che nel suo spirito conosce gradualmente la verità è oggettivamente sospeso in questa nebulosa dove Logos e Storia sono finiti con superficiale imperturbabilità.

Questa è una crisi che abbraccia la cultura, la politica, la socialità e l’economia. Temo o spero che seppur nulla sia irreparabile, nulla sarà più come prima. Temo che, se dopo questa disperazione, nulla di noi sarà arricchito, allora nulla potrà mai più favorire il miglioramento dell’uomo.

L’abisso ci viene incontro e ci divora, ma una volta vomitati o liberati dal suo buio, se non riuscissimo ad elevarci come uomini, avremmo un fallimento morale incontrovertibile. È la prospettiva che viene elaborando del futuro. I capisaldi della nostra cultura occidentale, il razionalismo, la fiducia nel progresso sono scossi dall’irrompere di questo virus.

Dilaga il pessimismo che attraversa le riflessioni degli uomini che sono testimoni di questo tempo, si può intravvedere la perdita di un ideale rassicurante. Quello del progresso irreversibile della civiltà mondiale.

Viene in mente Nietzsche. A lui si deve il crollo delle certezze occidentali in campo filosofico. L’amore per la vita non può che comportare l’accettazione dell’irrazionalità dell’esistenza. La vita è volontà, anche quando la volontà è distruzione, anche se la volontà impone all’uomo dolore e distruzione.

Questo non deve spingerci a rinunciare o a rifiutare la vita. Per fronteggiare questa crudeltà bisogna essere più crudeli, ribattere con più vita.
Oggi l’uomo possiede un pessimismo coraggioso che lo mette in grado di assumere su di sé il peso delle contraddizioni della sua esistenza e di non chiudere gli occhi di fronte alle verità più orribili? Non c’è il superuomo senza morale in quanto precristiano e avverso al crocifisso ma non c’è nemmeno Dioniso, energia tumultuosa che tutto tramuta in affermazione.

Non è il nostro eterno precipitare? Non stiamo forse vagando attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto?
Friedrich Nietzsche – La Gaia Scienza

Nel capolavoro di Albert Camus ‘La peste’ viene rappresentata una città, Orano, che viene assediata da un’epidemia orribile, preannunciata da una grande moria di topi. Viene isolata con un cordone sanitario dal resto del mondo, ma la fame e l’incapacità di fermare la pestilenza, portano la città al limite della sopravvivenza, falcidiata da disperazione ed egoismi e poco baciata dalla solidarietà. In un clima di torbida alienazione, di gretto egoismo, di burocrazia esasperante, il panico vince.

Tra i personaggi principali il dottor Rieux, il medico che, al di fuori di ogni credo politico o religioso, trova nella sua professione la giustificazione del suo esistere. Lotta per strappare alla propria fine i suoi malati e si ribella contro l’assurdo della morte che non può accettare come espiazione.

Altro personaggio importante è Rambert, giornalista straniero per caso nella città, che cerca con ogni mezzo di andarsene, ma resta, infine, perché capisce che un uomo non può abbandonare altri uomini che soffrono.

È il bene che contrasta il male: capiamo che il male non sempre si vince definitivamente. È il nostro dramma collettivo dunque – la peste si riveste di un evidente significato simbolico – spinge i protagonisti del romanzo a cogliere i valori connessi all’esistenza umana in quanto tale:

vi sono negli uomini più cose da ammirare che da disprezzare.

Di fronte alle avversità l’uomo è fragile, l’unica aspirazione che brama è quella a cui ha dato un valore di scontata normalità: vivere e respirare.
Il prossimo è lui stesso, guarda dentro di sé come una fotografia sbiadita, è la balia dell’uomo che è stato e del tempo che sgretolandosi diventa tanti granelli di sabbia scivolati in una clessidra, che qualcuno ha già capovolto.

È un dolore che coincide con la soggettiva sublimazione della perdita dell’immortalità che l’uomo dimentica di non possedere. È, a mio avviso, una coincidenza significativa che grandi uomini di cultura abbiano avuto queste visioni che oggi sono realtà.

In questo tempo di solitudine allora si cerca la nuova ragione, una forma di illuminismo radicale che vada a difendere la proprietà dell’intelletto acquisito, la sua razionale coerenza alla nevrosi quotidiana che è il costume dell’epoca costruita e vissuta, uno scudo alle perversioni diaboliche dell’ostracismo generato dall’ignoto.

La storia è solo una dannata cosa dopo l’altra.
Arnold Toynbee 

In tempo di pandemia, stiamo rivedendo la scala dei nostri valori. Stiamo imparando ad apprezzare la banalità dei gesti normali, la quotidianità delle parole guardandoci negli occhi, stiamo ritornando ad un’altra epoca, riscoprendo elementi della esistenza che avevamo messo da parte.

Ci affacciamo alla finestra e quel quadrato di cielo ci libera dalla prigionia stanca delle mura domestiche, viviamo non senza isterismi la collettività familiare, siamo diventati padri e madri, lavoratori e lavoratrici, maestri e maestre. Mai come oggi ognuno di noi ha bisogno dell’altro.

Lo specchio che ci serve non è di vetro ma è lo sguardo del prossimo: nei suoi occhi riusciamo a capire cosa siamo veramente. L’anima è una ribelle addormentata, il mostro che incombe è fuori dalla nostra vista, ma ci potrebbe assalire nel silenzio, arrampicandosi sul corpo come un ragno invisibile e fagocitare il nostro tempo catapultandoci in una grigia corsia di un ospedale.

Le certezze sono poche, le paure si moltiplicano. Per assurdo che sia, questo orrore ci ha fatto riscoprire un patriottismo che sappiamo di avere solo quando la Nazionale di calcio arriva quanto meno ai quarti di finale di una competizione.

Eccole le bandiere, rettangoli branditi per dire all’aria che siamo “un’unica Speme”, eccoci nei flash mob a cantare o suonare l’inno del nostro Mameli tante volte vituperato dai critici di mestiere a marcetta. Siamo diventati un popolo di condomini uniti. L’Italia s’è desta in un fervore che abbraccia e lega il Nord al Sud non senza polemiche, ripicche, ossessioni degenerative di stampo nostalgico, con accenni di nevrotico ed insano populismo.

Il bieco cantare delle voci stridule che inneggiano ad una sola RAGIONE e sbandierano, è il caso di scriverlo, una sola VERITÀ mi inquieta.
Oggi, attraverso i social, ognuno è padrone del suo mondo ma può anche minare con un golpe la privacy dell’altro. In un delirio carnevalesco di fake, istrioniche versioni fai da te di tutto, video amatoriali degni della cinematografia boccacesca made in Italy anni ’70.

Ognuno di noi ha scoperto un cugino lontano, un amico smarritosi nel tempo, che in memoria degli antichi affetti gli ha rilasciato in un vocale, a volte serioso e solenne, altre volte tremante e spaventato, a mo’ di testamento o di consegna di un segreto inconfessabile, la sua verità spesso complottista, il suo antidoto spesso “panzironiano” su come debellare il contagio.

Credo che abbiamo ricevuto ed inoltrato più vocali, immagini, video in questi giorni che da quando abbiamo installato l’app del social preferito.

Torniamo seri.

Resisteremo, quindi, forse. In questi giorni di febbrile delirio la matematica si sta guadagnando uno spazio sempre più grande nel racconto dell’evoluzione epidemica.

La scienza della matematica offre il più brillante esempio di come la pura ragione possa con successo allargare il suo campo senza l’aiuto dell’esperienza.
Immanuel Kant 

Tanti numeri: se ancora resta qualche fatica nel capire il significato del concetto di crescita esponenziale, con quell’aumento via via più rapido ed esplosivo che la caratterizza, basta catapultarsi sulla TV, aprire un quotidiano o scorrere la bacheca dei social per veder comparire termini come “attenuazione del picco”, “punto di flesso” o addirittura “modello di crescita logistica”.

Da quello che leggo uno dei più utilizzati in epidemiologia, e di fatto adottabile anche al Coronavirus, è il cosiddetto modello di regressione logistica, o più semplicemente modello logistico, che parte dall’idea di collegare ad ogni persona una variabile dicotomica, che può avere solo due valori possibili: sano o malato. È lo schema che spiega l’evoluzione nel tempo del contagio: una fase di crescita iniziale, il raggiungimento di un picco e poi una fase finale di progressiva decrescita.

Ma sappiamo che anche quando poi i dati sono stati contestualizzati, rimane sempre il problema della loro corretta comprensione, perché il modo in cui processiamo ed utilizziamo le informazioni che attingiamo dalla realtà che ci circonda, è fortemente influenzato da come funzionano i nostri schemi cognitivi che, se non liberatori (difficile), portano pregiudizi (più facile).

Se è vero che tutti i numeri sono uguali, non è altrettanto vero che le rappresentazioni alternative che degli stessi numeri si possono dare siano neutrali. Cervello e numeri. Algoritmi e teorie che hanno la pretesa doverosa di raccontarci chi siamo e cosa possiamo fare.

Ragione e sogno, brucia l’Idea nel vento del mistero. È furore o letargia, lo scopriremo al compimento di tutto: che sia in coincidenza con il nostro peggiore incubo o la nostra più solare rivelazione. A tal proposito mi pare coerente al tema ricordare la teoria della sincronicità.

Nel 1925 Carl Gustav Jung cominciò a lavorare sulla sincronicità, cioè come fatti in apparenza indipendenti fra loro sembrino caricarsi di un significato particolare per chi li esperimenta. I suoi studi lo avevano messo a contatto con le zone più recondite della psiche umana, conscio che la vita di molte persone è segnata da coincidenze e da predizioni o premonizioni avveratesi.

Jung si era convinto che qualche processo di collegamento, diverso dalla casualità ma ad essa complementare, fosse operante nell’universo, e che la sua manifestazione dipendesse da una collaborazione tra la psiche umana e il mondo esterno. Egli nominò questo principio “sincronicità” e trascorse l’ultima parte della sua vita nel tentativo di spiegarne il meccanismo. Coincidenze che spesso svelano nella loro fortuita evidenza una legge di natura misteriosa che pare agire oltre i limiti dello spazio – tempo.

Va detto, comunque, che il pensiero moderno di sincronicità, nasce dall’incontro di Jung con Wolfgang Pauli, Premio Nobel per la fisica. Pauli sostenne che a livello di fisica quantistica, la realtà è implicata in una “danza astratta” senza alcuna causa materiale. Egli contribuì alla cognizione delle leggi armoniche della realtà, con l’individuazione di una struttura astratta che si cela dietro la superficie della materia atomica, e determina il suo comportamento in maniera non-causale. Così venne idealizzato il presupposto sperimentale alla legge di sincronicità, sul piano della fisica quantistica.

Nel 1952, i due studiosi pubblicarono insieme ‘L’interpretazione e la natura della psiche’ che conteneva due saggi, uno di Pauli sull’influenza degli archetipi nella teoria di Keplero e l’altro di Jung sulla natura della sincronicità.

In questo saggio Jung descrive la sincronicità come

la coincidenza nel tempo, di due o più eventi, causalmente non correlati, anche se legati dallo stesso o simile significato

o come

parallelismo acausale

o anche come

atto creativo.

L’essenza di un evento sincronico è proprio il significato che esso ha per colui che lo sperimenta: questo è il cuore stesso della sincronicità. Essa opera come specchio dei processi interiori, realizzando forti paralleli tra eventi esteriori ed interiori, una metafora delle informazioni e delle coscienze.

In ogni essere umano sono attivi gli archetipi, i quali, seppure in modo soggettivo, raffigurano le possibilità individuali di essere, pensare e fare, provare emozioni e sentimenti, istruire congetture e proporre idee, così come anche di avere visioni e percezioni di carattere ‘extrasensoriale’, non legati a spiegazioni di tipo deterministico, ma che, cionondimeno sono determinanti nel destino della vita umana.

Utilizzo quindi il concetto generale di sincronicità nel senso specifico di corrispondenza tra due o più eventi senza una relazione causale, e che hanno lo stesso contenuto significativo o un senso simile; e faccio questo attraverso un’opposizione alla nozione di sincronismo che indica soltanto il semplice fatto della simultaneità di due fenomeni.
Carl Gustav Jung

I fenomeni sincronici, pertanto, sono delle coincidenze significative dove lo spazio e il tempo appaiono come delle grandezze relative. Sincronicità non vuol dire “nello stesso tempo” ma “con lo stesso senso”. La parte del fenomeno sincronico che si produce nella realtà esterna è compresa dai nostri sensi naturali. L’oggetto della percezione è un evento oggettivo.

Jung si era interessato al tema degli eventi acausali e alla loro rilevanza nella cultura orientale, particolarmente cinese, nell’ambito dei suoi studi e interessi riguardo agli archetipi dell’inconscio collettivo, sull’alchimia e sull’astrologia. Un ulteriore contributo alle sue idee sul tema fu il rapporto con Richard Wilhelm, uno dei più importanti sinologi dell’antica cultura cinese e traduttore. Inoltre, nel 1928 si era già interessato di un testo cinese di alchimia taoista del VIII d.C., ‘Il segreto del fiore d’oro’.

Ricordiamo che Jung introdusse il termine sincronicità nel 1949-50 nella prefazione della traduzione in inglese di Wilhelm del I Ching, il ‘Libro dei Mutamenti’, ritenuto uno dei primi testi classici cinesi, risalente, in modo molto incerto, intorno al I secolo a.C., ma ritenuto da diversi autori molto più antico, tra i primi testi classici cinesi datati prima del II a.C..

La tradizione orientale è sempre stata per millenni enormemente attratta dalla stretta relazione tra fatti ed eventi “interni” con quelli “esterni” per la sua concezione olistica integrale tra i due mondi, in cui soggetto e oggetto non hanno una definita linea di separazione ma si riflettono l’uno nell’altro, una concezione non diversa da quella della tradizione alchemico – ermetica medioevale in Occidente, ma anteriore di diversi millenni. Una connessione perpetua ed invisibile. Per i cinesi non è un paradigma oscuro: l’I-Ching si presenta, infatti, come sistema altamente simbolico che nei suoi 64 esagrammi riproduce, in modo compiuto, tutte i possibili stati dell’esistenza.

Il pensiero cinese insegna che le coincidenze significative non nascono da un qualche bisogno subconscio che interpreta o addirittura influenza l’ambiente esterno; sono, invece, collegate e fanno parte di un disegno universale. Anche se la mente razionale si sforza di indovinare i significati delle corrispondenze e degli eventi sincronici, è solo il pensiero intuitivo o un bagliore di coscienza mistica a guidarci nella giusta prospettiva.

Intuire il disegno universale ci può aiutare a capire chi siamo, quale è il nostro ruolo nell’universo, in quale direzione dobbiamo muoverci, cosa dobbiamo fare e perché.

È una coincidenza che, in questi giorni legati al terrore che stiamo vivendo, ognuno di noi si muove smarrito nel libro del tempo, ritrovandosi in un incubo che ha la connotazione di una guerra vissuta nella memoria, tra le parole imparate, nel sottofondo di un silenzio inimmaginabile e musicabile dalla sola paura che inchioda i nostri occhi alla finestra?

Questi eventi sono frutto di una sincronicità che abbiamo determinato, forzando o autenticando l’esperienza che si muove tra lo spirito e la natura. Non possiamo spiegarlo senza l’ausilio della razionalità, abbiamo, però, il dovere di non cedere alla paura dell’inconoscibile ciò che razionalmente non si spiega. Eleviamoci al compimento della Storia, sintonizzando l’anima al mistero che, di giorno in giorno, infondiamo nei passi del nostro destino.
Se il caso esiste, noi non siamo i dadi.

Qualche volta il destino assomiglia a una tempesta di sabbia che muta incessantemente la direzione del percorso. Per evitarlo cambi l’andatura. E il vento cambia andatura, per seguirti meglio. Tu allora cambi di nuovo, e subito di nuovo il vento cambia per adattarsi al tuo passo. Questo si ripete infinite volte, come una danza sinistra con il dio della morte prima dell’alba. Perché quel vento non è qualcosa che è arrivato da lontano, indipendente da te. È qualcosa che hai dentro. Quel vento sei tu. Perciò l’unica cosa che puoi fare è entrarci, in quel vento, camminando dritto, e chiudendo forte gli occhi per non far entrare la sabbia.
Haruki Murakami

Ora siamo nella tempesta, ma affinché la vita abbia un senso, dobbiamo tutti essere sincronizzati nel bene e vivere nel sussulto della fratellanza.

La coincidenza è

un evento che non persiste… ma esiste semplicemente per un suo breve attimo e poi cessa.

È una perturbazione della nostra storia nella Storia dell’Universo.

Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.