Esorcizziamo la paura del Covid-19 rispolverando un vecchio tormentone
Lo so, questa volta sono stato proprio infame e ho concepito uno di quei titoli “acchiappa click”, ma non l’ho fatto per ragioni pubblicitarie, altrimenti qui trovereste una foto gigantesca della Pizzeria Trattoria San Carlo 17 di Napoli.
Il mio intento, invece, è quello di provare per un attimo a mettere da parte gli isterismi da Covid-19 ripercorrendo le gesta – brevissime ma intense – di un gruppo dance che a metà degli anni ’90 segnò le nostre vite. O, almeno, la mia.
Che bella età! Correva l’anno 1994, il vostro autore preferito e cioè io, aveva compiuto diciassette anni proprio quell’estate, in cui ovunque si ballava una e una sola canzone.
Ah no, scusate, prima vi devo dire com’è che mi è saltato in testa di scrivere questa cosa qua. Sapete, in questi giorni vuoi o non vuoi siamo tutti sotto psicosi e continuiamo a cercare notizie sul nuovo Coronavirus. E come ogni tradizione che si rispetti, un po’ per timore, un po’ per esorcizzare uno spauracchio, accade che in tanti inizino a fare ironia, dando sfogo alla propria creatività. Così, non ricordo chi né dove, un giorno mi è capitato – ad esempio – di vedere un meme con tante bottiglie di Heineken con la mascherina, terrorizzate da un’unica bottiglia di birra Corona.
Ma, soprattutto, di trovare un tizio che ha commentato:
Corona – disease the rhythm of the night
facendo il verso alla più celebre (e unica?) hit dei Corona: ‘The Rhythm Of The Night’.
In pratica, prendendo il ritornello e sostituendo a ‘This is’, ‘questo è’, la parola ‘disease’, dall’assonanza simile ma dal significato completamente diverso: significa infatti malattia. Geniale!
https://www.youtube.com/watch?v=u3ltZmI5LQw
Va bene, ho spoilerato tutto, quindi ora avete capito di chi parlerò oggi e di quale canzone. Torniamo quindi all’estate del ’94. Mi trovavo in vacanza, a Torvajanica, una pausa meritata dopo un anno di cazzeggio al quarto liceo.
In quel tempo, il vostro autore preferito che sarei io aveva tre interessi principali:
- Musica;
- Calcio;
- Femmine.
Come oggi, insomma. Solo che all’epoca avevo diciassette anni – mi pare d’avervelo già lasciato intuire.
Avevamo una casa al mare. Anzi, sul mare, nel senso che tu aprivi il cancelletto del cortile ed eri già nella spiaggia libera. Una bella, lunga e larga distesa di bollente sabbia tirrenica.
Se ora vi state chiedendo come fosse la giornata – tipo di un diciassettenne sul litorale romano a metà degli anni ’90, potrei descriverla nel modo che segue: scendere in spiaggia, tacchinare le ragazze, in ispecie quelle che arrivavano in shorts per vendere copie de Il corriere dello sport; fare il bagno, e tacchinare le ragazze che facevano il bagno nel medesimo tempo; tornare sul bagnasciuga e fare partite di pallone tre contro tre, o cinque contro cinque, o venti contro venti, insomma si giocava a calcio per un tempo indefinito e infinito, fino alle soglie dello sfinimento – che a diciassette anni se ti viene è meglio se ti chiudi in monastero. Anche perché l’obiettivo di quelle partite non era tanto quello di vincere o di fare più gol degli avversari, bensì fare rovesciate, parate spettacolari o semplicemente lo sborone, per attirare l’attenzione delle ragazze.
E la musica?
Certo, era sempre presente. Vi ho detto che eravamo su una spiaggia, in piena estate: può mai mancare la musica? Nella fattispecie, accanto alla spiaggia libera c’era un lido che sparava le casse ad altissimo volume: BUM – BUM – BUM. E che metteva, a ripetizione, questa canzone dei Corona. E poco importa che il titolo, tradotto, dicesse: Questo è il ritmo della notte. Quello era il ritmo della notte, del giorno, della mattina e del pomeriggio. Di tutti i giorni. Di tutta quella fantastica estate del 1994. Quando avevo diciassette anni, non ricordo se ve l’avevo già detto.
Ma chi erano questi Corona? Un gruppo dance italiano, solo che la tipa più rappresentativa era la brasiliana Olga Maria de Souza. La canzone in realtà era stata scritta nel novembre del 1993 e, se è per questo, la voce non era nemmeno quella della de Souza, ma di una tale Jenny B. Inoltre il brano non è che fosse proprio originalissimo: riprendeva infatti la melodia di ‘Save Me’ delle Say When (chi?).
Comunque sia, fu il tormentone di quell’estate: non c’era radio che non la mandasse in loop; non c’era discoteca dove non si ballasse quel brano, non c’era lido che non sfondasse gli speaker a suon di quel ritornello. E non c’era diciassettenne che non sognasse una grande estate grazie al ritmo della notte. Figuratevi io.
Forse vi chiederete che fine abbiano fatto i Corona. Come spesso accade, quando scrivi il tormentone dell’estate raggiungi troppo presto il punto più alto della carriera. E quando sei così in alto, e cadi, ti fai male. Scrissero molti altri brani, ad esempio ‘Baby Baby’ del 1995 ebbe un buon successo, ma non paragonabile alla hit dell’anno prima. Sfornarono album e singoli a ripetizione, fino al 2016… eppure ci siamo quasi dimenticati di loro.
Serviva il Coronavirus per ricordarci che, in fondo, il primo caso di “Corona” a diventare virale nel mondo fu proprio questa formazione dance. Che oggi (sob) continua a fare spettacoli in tutto il mondo, riscuotendo “alterno successo”, come mi suggerisce Wikipedia.
Bonus track
Ma voi ve la ricordate la parodia della canzone scritta e cantata da quel genio assoluto di Leone Di Lernia? ‘Te sì mangiate la banana’:
Autore William Silvestri
Autore, formatore e direttore editoriale di Argento Vivo Edizioni. Prima di entrare nel mondo dell'editoria ha pubblicato i romanzi 'Divina Mente', 2011, 'Serial Kinder', 2015, e 'Ci siete mai stati a quel paese?', 2017, 'Io e la mia scimmia', 2019, oltre al saggio esoterico 'Chi ha paura del Serpente?', 2015.
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