In 25 anni la computer grafica si è evoluta in modo così eclatante, da iniziare ad indurre confusione tra ciò che è reale e ciò che è virtuale. Per questo motivo credo sia dovere di noi ‘Immigrati digitali’ cercare di insegnare ai nostri figli e nipoti ‘Nati digitali’ come riconoscere i pericoli della mistificazione in quella società in cui si troveranno a vivere da grandi.
25 anni fa ho iniziato la mia avventura professionale nel mondo dell’Industria Creativa dei Contenuti, in particolare nella produzione di contenuti digitali in computer grafica per la produzione di effetti visivi, VFX.
Sebbene non sia un tecnico, ricoprendo inizialmente la figura di facilitatore nella catena di produzione digitale e poi diventato VFX Producer, ottenendo due candidature e una vittoria ai David di Donatello, ho avuto la fortuna di vivere dal di dentro la tumultuosa evoluzione che nell’ultimo quarto di secolo ha caratterizzato questo ‘fantastico’ mondo. Mai come in questo caso il termine fantastico è appropriato. Non solo perché è straordinario ciò che il digitale consente di fare, ma perché è solo l’immaginazione, e i budget di produzione a disposizione, che oramai pongono limiti a ciò che con i computer oggi possiamo fare.
In una mia relazione di lavoro ebbi ad evidenziare che James Cameron con il suo film ‘Avatar’, dieci anni fa, segnò una nuova pietra miliare nella produzione cinematografica. Cameron è stato l’inventore pioniere di una tecnica, la virtual camera, con cui gli attori, che indossavano tute per il ‘motion capture’, potevano essere filmati in background su set digitali in tempo reale. Ciò rivoluziona anche il modo fare regia: poiché il regista con l’uso del digitale può condurre, e controllare il risultato, della performance attoriale e dell’azione ‘mischiata’ tra set reali e virtuali sui quali agivano gli attori reali e i loro avatar virtuali.
Più tardi, in film come ‘Ready Player One’ e ‘Solo: A Star Wars Story’, i registi non solo hanno cambiato il modo di fare regia, ma hanno iniziato addirittura a pianificare in pre-produzione le loro decisioni registiche indossando dispositivi per la Realtà Virtuale per controllare il risultato di ciò che avrebbero girato durante la produzione. Tuttavia, durante la visione di questi blockbuster di genere fantasy lo spettatore è ancora consapevole che il prodotto, le immagini che sta fruendo, sono il risultato di una spettacolare finzione.
Qualche mese fa ho visto il remake del famoso film di animazione ‘Il Re Leone’ che fu prodotto dalla Disney nel 1994. Avevo visto il trailer, e sapevo che nella produzione era stata chiamata la Pixar Animation Studios, società sussidiaria della Disney, leader nella realizzazione di film di animazione in 3DCGI, computer grafica 3D, quali ‘Toy Story’, ‘E-Wally’, ‘Monsters & C.’, ‘Gli Incredibili’, ‘Coco’, ‘Cars’.
Pensavo che Jon Favreau, il regista di questo remake, avesse scelto la Pixar per implementare con gli animali digitali le sequenze girate in scenari reali come è stato fatto per i dinosauri di ‘Jurassic Park’ o le scimmie antropomorfe di ‘Planet of Apes’, da post-produrre in un mix di effetti visivi digitali ed immagini reali, come noi produttori di effetti visivi digitali siamo solitamente chiamati a fare nei processi di produzione di un feature film.
Ma, mentre vedevo il film, mi stavo rendendo conto che così non era.
Da spettatore mi sembrava che stessi guardando uno strano documentario, naturalistico girato nel Serengeti National Park in Tanzania. Che sperimentava una nuova forma di storytelling doppiando animali appositamente addestrati, per renderli protagonisti del documentario.
Per i primi dieci, quindici minuti del film ho provato una forma di disagio, per il quale non sapevo darmi spiegazione. Ma entrando nella piena visione del film, ho iniziato a prendere coscienza del motivo del mio imbarazzo.
Da ‘addetto ai lavori’ mi stavo rendendo conto, infatti, come il film fosse una completa simulazione virtuale, come un videogame, in altissima risoluzione. Il remake del famoso ‘Il Re Leone’ di Favreau è in sostanza un film di animazione iper-fotorealistico… ed ecco perché la Pixar! Nonostante il regista Favreau lo abbia dichiarato un film ‘live-action’, questo è stato completamente realizzato in computer grafica tridimensionale: è tutta una finzione digitale, virtuale, salvo alcuni scatti fotografici.
Non solo gli animali, ma tutto il set: le location – la rocca del re e la savana, il cimitero degli elefanti, l’antico albero dello sciamano-scimmia Rafiki, il deserto e la sua sabbia, la giungla meravigliosa e le limpide acque delle cascate – così come gli oggetti di scena, la palla di sterco rotolata da coleottero, il ciuffo di peli di Simba – davvero esistono: ma in formato digitale sui computer della Pixar e portati sullo schermo dei cinema.
Non vorrei essere frainteso però: il film è tecnicamente ineccepibile e, infatti, ha vinto numerosi importanti riconoscimenti e premi, ma per gli Oscar 2020 si è aperto un dibattito su come classificare e riconoscerlo: è un film di animazione o l’esempio principe dell’attuale stato dell’arte del cinema digitale che sancisce, definitivamente, il trionfo dell’illusione digitale? Fatto sta che nella confusione mentale dei giudici il film non ha vinto la statuetta.
Ho avuto la fortuna di iniziare a lavorare nel Cinema grazie alla mia partecipazione ad un progetto di ricerca accademica. Un progetto dal nome significativo: ‘Umanesimo & Tecnologia’. Nel corso del programma disquisivamo con i sociologi degli effetti che avrebbero impattato la società con il passaggio dal ‘Reale al Virtuale’. Oggi dovremmo iniziare a dibattere sull’impatto che avrà il ‘Virtuale sul Reale’!
La transizione alla società post-moderna definita ‘Società dell’informazione’ è compiuta.
In questo nuovo contesto sociale il ‘Video ergo sum’ impera e le immagini diventano il driver di sviluppo della Società delle immagini, dell’apparenza e degli schermi.
Sei anni fa con la mia società abbiamo ricostruito al computer un Synthespian: il clone umano digitale di una star della musica rock brasiliana deceduto 20 anni prima.
Lo abbiamo fatto rivivere virtualmente in un ologramma che si esibiva dal vivo con i suoi storici musicisti ancora in vita sugli stage di San Paolo e sulla spiaggia di Ipanema di fronte 70.000 spettatori. I fan di Cazuza, questo il nome d’arte della rockstar, sapevano che era un’illusione, ma si sono emozionati al punto di piangere ed urlare: “Cazuza sei ancora vivo”.
Da poco sono diventato nonno, il mio nipotino sebbene abbia solo 18 mesi è già in grado di selezionare e scegliere immagini con il suo piccolo dito su uno schermo di uno smartphone, lui non è affetto dal Digital Divide Culturale perché è un ‘nativo digitale’ e crescerà sviluppando il suo pensiero di adulto in questa nuova società in trasformazione.
Io, seppur da addetto ai lavori, ancora mi meraviglio di quanto sia diventato alto il livello di fotorealismo delle immagini generate al computer raggiunto in questi anni, immagini in grado di ingannare con un’illusione digitale uno spettatore anche piuttosto esperto come me, figuriamoci un bambino… e forse stato questo il motivo del mio disagio?
Cosa accadrà tra altri 25 anni quando le capacità del digitale saranno ancora più evolute con la potenza di calcolo dei nuovi computer quantistici associata alle potenzialità dell’intelligenza artificiale?
Mio nipote, futuro cittadino di questa nuova società, saprà distinguere il Virtuale dal Reale?
… O forse sarebbe meglio dire: non saprà distinguere, se non saremo noi in grado di insegnarglielo…
Autore Vittorio Alberto Dublino
Vittorio Alberto Dublino, giornalista pubblicista, educatore socio-pedagogico lavora nel Marketing e nel Cinema come produttore effetti visivi digitali. Con il programma Umanesimo & Tecnologia inizia a fare ricerca sui fenomeni connessi alla Cultura digitale applicata all’Entertainment e sugli effetti del Digital Divide Culturale negli Immigrati Digitali. Con Rebel Alliance Empowering viene candidato più volte ai David di Donatello vincendo nel 2011 il premio per i Migliori Effetti Visivi Digitali. Introducendo il concetto di "Mediatore della Cultura Digitale" è stato incaricato docente in master-post laurea.