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Essere sempre gentili

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La differenza tra gentilezza e sottomissione

Sono dunque solo sulla terra, senza fratelli, né parenti, né amici, né altra compagnia che me stesso.

Il passeggiatore solitario di Rousseau amava fantasticare in isolamento ma c’è chi viene emarginato dal mondo perché per nulla gentile ed affabile.

Mi hanno chiesto:

Cosa pensi del fatto che siano in molti a credere che essere gentili equivalga a farsi mettere i piedi in testa?

Come la solito abbiamo a che fare con il cattivo uso dei significati.

Gentilezza non significa sottomissione.
Essere gentili non corrisponde a dire sempre di sì a tutto.
Non vuol dire accondiscendere supinamente ad ogni sopruso o imposizione.
Non si tratta di permettere che gli altri abbiano mancanza di rispetto nei tuoi confronti e che possano pretendere da te qualunque cosa.

La persona gentile riesce gentilmente a dire:

No grazie! Non posso! Non ne ho voglia! Non me la sento! Non intendo proseguire oltre!

senza ripagare con la stessa moneta offensiva e volgare coloro che hanno la mania o la pretesa di sottomettere le persone al proprio volere.

Non ripagano l’offesa e l’insulto con altrettante offese e insulti, perché hanno un gentile silenziatore per evitare di ferire con le proprie parole.

Certamente anche il silenzio può far male, ma è un male indiretto.
Se tu decidi di non reagire alle offese tappandoti la bocca, l’altro riempirà da solo i propri pensieri procurandosi dolore, non per tuo mezzo, ma per mezzo della sua stessa ira, del suo stesso rancore, del suo stesso rimuginare.

Non hai colpa del tuo silenzio gentile.

Dopo avere dato più volte la possibilità di un confronto educato, se dall’altra parte si continua con lo stesso tono sgarbato, la persona gentile si ritira senza più permettere di essere oltraggiata.

Non si lascia invischiare nella lotta, non per paura della lotta, ma per la propensione alla non-violenza, che Gandhi citava spesso in sanscrito con Ahimsa.
Non si tratta di essere vigliacchi o codardi ma più semplicemente di non cooperare più con una modalità distruttiva.

La persona gentile, perciò, si astiene dall’usare lo stesso linguaggio offensivo del proprio interlocutore, ma resta ferma nella propria posizione, senza lasciarsi incatenare dal meccanismo aggressivo dell’altro.

Un’amica in Facebook ebbe a commentare in tal modo la questione:

Credo ci sia da distinguere tra gentilezza e gentilezza. Spesso viene definita gentile una persona che non osa affermare se stessa o il proprio pensiero, per non contrariare l’altro. Ma questa è mancanza di personalità.

Oppure una persona che asseconda tutti per andare d’accordo con chiunque, ma questa è ipocrisia.

Viene considerato gentile anche chi sopporta in silenzio di essere trattato male, ma questo è mancanza di amor proprio.

La persona gentile è quella che si accosta all’altro con delicatezza, con rispetto, perché no, con dolcezza, ma che con altrettanta fermezza sa affermare sé stessa ed il proprio pensiero, sa dire no, se in cuor suo sente un “no” e sa confrontarsi educatamente, senza farsi sopraffare dall’ira, ma sa anche ritrarsi dal confronto, se l’altro risulta incapace di mantenerlo sulle stesse note di buona educazione e rispetto.

In pratica, la persona veramente gentile è molto, molto più forte di chi non lo è.

Concludo quindi ricordando la netta distinzione tra l’essere gentili e l’essere sottomessi, poiché gentilezza non significa schiavitù.

Myanmar

Autore natyan

natyan, presidente dell’Università Popolare Olistica di Monza denominata Studio Gayatri, un’associazione culturale no-profit operativa dal 1995. Appassionato di Filosofie Orientali, fin dal 1984, ha acquisito alla fonte, in India, in Thailandia e in Myanmar, con più di trenta viaggi, le sue conoscenze relative ai percorsi interiori teorici e pratici. Consulente Filosofico e Insegnante delle più svariate discipline meditative d’oriente, con adattamento alla cultura comunicativa occidentale.