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La vita di Miguel de Cervantes

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Miguel de Cervantes


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È considerata saggia e dotta consuetudine iniziare a scrivere le proprie considerazioni su un Capolavoro chiamando a testimonianza il pensiero di grandi studiosi della letteratura.

Una scelta necessaria e dovuta che dovrebbe consentire di districarsi con cautela tra selve di eruditi commenti e foreste di argute conclusioni. Tentativo vano perché pochi critici, poeti, letterati, artisti di vario genere ed anche tanta gente comune si sono risparmiati un loro dire sul ‘Don Chisciotte della Mancia’.

Dotte ed illuminanti citazioni che non possono non iniziare con Miguel de Unamuno, forse il più grande e tra i più arguti critici e conoscitori del romanzo. Miguel de Unamuno era convinto che don Chisciotte fosse un personaggio reale

di quelli che hanno mangiato e bevuto e dormito, e che sono poi morti

anteponendo la sua esistenza a quella del suo Autore.

Don Chisciotte quasi autore di se stesso e Cervantes un semplice ma ispirato scrivano di un’opera a lui superiore: la trascrizione di un atto di fede. Il gioco degli specchi tra realtà e finzione quindi si trasferisce dal romanzo alla critica letteraria, quasi contagiandola.

L’opinione di Dostoevskij poi non era da meno. Egli affermava che don Chisciotte potesse bastare da solo

a giustificare agli occhi di Dio l’odissea dell’umanità. Un’odissea vissuta in una interiorità solitaria in cui si perde facilmente la nozione del bene e del male e che, come nei sogni, si può commettere qualsiasi atto senza ritenersene colpevoli.

In un’opera così importante le chiavi di lettura sono molteplici sia in senso storico, letterario ma soprattutto esoterico. Perché probabilmente esoterismo è la ricerca interiore di don Chisciotte riversata sul mondo, con i suoi ideali cavallereschi e le leggendarie peripezie.

Nel perenne conflitto tra realtà e magia del sogno che diventa leggenda si innesta e vive la propria “leggendaria” esistenza proprio Miguel de Cervantes Saavedra che nacque ad Alcalà de Henares il 29 luglio del 1547 e morì a Madrid il 22 aprile del 1616. Epoca difficile quella in cui ebbe i natali di Cervantes, erano gli anni in cui la Riforma Protestante si affermava in Europa settentrionale ed erano gli anni in cui la Chiesa Cattolica organizzava e sviluppava la violentissima risposta sia a questa rivolta interna che alla minaccia turca. Cervantes nacque da una famiglia indigente e, tra mille peripezie, non riuscì mai ad elevarsi neanche all’apice del suo successo ad uno stato di pieno benessere economico.

Suo padre un modestissimo “diplomato” chirurgo, sordo e di scarse capacità professionali, non fu in grado di consentirgli di terminare gli studi presso l’Università di Salamanca. Non possedeva quindi un “diploma” e fu questo motivo di scherno da parte di paludati intellettuali che riversavano su di lui le frustrazioni per i loro insuccessi.

L’erudizione del Cervantes crebbe con studi da autodidatta basati su un’intensa attività di ricerca e curiosità intellettuale. Studi sufficienti ad ottenere alcuni primi impieghi trai quali quello di ciambellano presso Mons. Giulio Acquaviva d’Aragona. Questo prelato fu inviato in Spagna con delicati compiti politici in veste di Legato Pontificio da Papa Pio V alla fine del 1568 che furono abilmente eseguiti, probabilmente anche con l’intelligenza e le capacità del nostro Autore, e che valsero a Mons. Acquaviva la porpora cardinalizia.

Non conosciamo le ragioni per le quali Cervantes dopo pochi anni decise di abbandonare questo tipo d’impieghi. Forse il suo spirito di avventura o più probabilmente uno dei tanti “affari” conclusi male. Sappiamo quindi che si arruolò e combatté valorosamente nelle file vittoriose della Lega Santa nella famosa battaglia di Lepanto del 1571.

La fortuna, si narra, gli fu amica consentendogli di sopravvivere miracolosamente a due pallottole che lo colpirono al petto ed una ferita, forse da schegge, che lo rese invalido alla mano sinistra. Solo una lesione benché negli anni successivi si autocelebrasse come “il monco di Lepanto”; diremo benevolmente che lo fece con eccessiva approssimazione.

Prese parte ad altre battaglie, come a Navarino nel 1572; a Tunisi e poi a la Goulette nel 1573, scampando sempre alla sorte ed alla prigionia per poi tornare in abiti civili di nuovo ad attività amministrative soprattutto in Italia, acquisendone lingua e cultura.

Nel settembre 1575 quindi, dopo anni di tranquilla vita da notabile e noto per la sua prima attività letteraria, munito di lettere di raccomandazione di Don Giovanni d’Austria e del duca di Sessa Viceré di Napoli, decise di imbarcarsi proprio da Napoli alla volta della Spagna. Il 26 settembre del 1575, la nave “Sol” sulla quale viaggiava fu attaccata dai pirati barbareschi e Cervantes, ridotto in prigionia e schiavitù, fu deportato ad Algeri dove rimase in cattività per cinque anni. Anni trascorsi a comporre opere teatrali, piani d’evasione e capitanando finanche una rivolta generale dei prigionieri cristiani. Non c’è traccia, malgrado le leggende, della stesura del ‘Don Chisciotte’ in questo periodo.

Il rilascio di Cervantes, considerata la povertà della sua famiglia, avvenne per una singolare vicenda che non sfigurerebbe in un capitolo del suo romanzo. Fu, infatti, rilasciato perché i 500 scudi d’oro, inviati tramite il missionario Juan Gil, destinati al riscatto del gentiluomo aragonese Jeronimo Palafox, non furono considerati adeguati al blasone di questo prigioniero. In compenso, per quella cifra fu offerta la liberazione del nostro Autore, considerato dai pirati un individuo turbolento, piantagrane e di “scarso valore”. La letteratura mondiale ringrazierà per secoli quel nobile gesto, anche se ancora oggi non sappiamo se gravò come un ingente debito sulle spalle di Cervantes.

A partire da quest’epoca in poi Cervantes intensificò la sua attività letteraria ma con modesta fortuna e minimi guadagni. Epoca travagliata, caratterizzata da frequenti periodi di detenzione per debiti e pessimi affari con faccendieri, furfanti e strozzini di cui non riusciva nonostante tutto a liberarsi.

Il ‘Don Chisciotte’ non poteva quindi vedere la luce se non in una prigione, che non fu quella di Algeri o di Argamasilla de Alba, secondo leggenda, ma in quella di Siviglia dopo il 1591. Il libro, pubblicato all’inizio del 1605 ebbe un folgorante quanto inatteso successo e nel luglio dello stesso anno era già in corso di stampa a Valencia una quinta edizione.

Un trionfo di popolarità assolutamente travolgente anche all’estero.
Alle edizioni spagnole e portoghesi seguirono quella di Bruxelles nel 1607, Parigi nel 1608 ed in Inghilterra, ove secondo la tradizione relativa ad un’opera perduta, Shakespeare avrebbe collaborato ad una riduzione teatrale di ‘Don Chisciotte’. Quanto ci manca questa “opera perduta” e quanto manca allo studio ed alla comprensione della letteratura di quegli anni!

Tornando al nostro capolavoro, il successo ed i guadagni migliorarono solo momentaneamente le condizioni economiche di Cervantes perseguitato a quel punto tanto dai debitori che dagli editori. Fu costretto quindi a darsi da fare per scrivere dopo nove anni la seconda parte del suo capolavoro. Giunto al capitolo LIX nel 1614 Cervantes venne a conoscenza del fatto che era stata pubblicata a Tarragona a nome di Alonso Fernandez de Avellaneda una seconda parte del suo romanzo. Inizialmente Cervantes rispose con ira ma poi, con la consueta ironia, decise di iniziare la seconda parte del suo romanzo, con Sancho che rivela la “notizia” del nuovo libro al suo padrone. Inorgoglito, Don Chisciotte decide di ripartire per le sue imprese forse con la stessa premura che a quel punto ebbe Cervantes nell’ultimare il suo capolavoro.

È possibile ipotizzare la buona fede di Avellaneda che aveva cominciato la “sua” continuazione in assenza di una seconda parte del romanzo da parte del Cervantes. La seconda parte autentica, annunciata nel 1623, probabilmente senza l’intrusione e le grossolane ingiurie anche dell’Avellaneda e la paventata perdita dell’utile economico, prontamente dilapidato, forse non sarebbe mai stata portata a termine dal Cervantes.

Opera in cui, fin dalla prima pubblicazione, Cervantes si affrettò a dichiarare che

l’intento del suo protagonista era solo di sminuire l’autorità e la considerazione che i romanzi cavallereschi riscuotono nel mondo e fra il volgo.

Lo scopo fu pienamente raggiunto, considerando che secoli dopo Lord Byron sostenne che Cervantes

aveva fatto scomparire con un sorriso la cavalleria dalla Spagna, concludendo un’epoca e iniziandone un’altra e dominando l’intero campo del fantastico.

Responsabile di tanta opera, secondo Miguel de Unamuno, è la figura di don Chisciotte che

povero e ozioso; in ozio viveva la più parte dell’anno. E nulla vi è al mondo di più ingegnoso che la povertà nell’ozio. La povertà gli faceva amare la vita, tenendolo lontano da ogni forma di sazietà e nutrendolo di speranze, e l’ozio dovette farlo riflettere sulla vita che non ha fine, sulla vita perdurante.

Un protagonista votato all’inevitabile disfatta coerentemente al motto degli Hidalgos secondo cui:

La sconfitta è il blasone dell’animo nobile.

Secondo Claudio Magris, le gesta di don Chisciotte

sono nutrite da una sconsiderata fiducia nell’eterno e al contempo affamato di gloria, si autoalimenta, trova ragione in se stesso, al di fuori di ogni logica. Ciò avviene secondo M. de Unamuno al di fuori della “sporca logica” ed è perciò che a questo eroe dà per compagno di viaggio Sancho Panza, che è invece egoista, prudente e pratico.

La critica al romanzo di Cervantes si estende poi alla sua stessa forma nelle parole solo in parte condivisibili di Fitzmaurice-Kelly:

Non è un prosatore perfetto, non ha neppure un ascendente esclusivamente intellettuale; il suo stile è trasandato e diseguale, ma spesso possiede la bella semplicità e la bella potenza della natura: il suo pregio principale appare, infatti, la naturalezza. Cervantes – secondo questo critico – è immortale in virtù della sua capacità creativa, delle risorse della sua immaginazione, di simpatie illimitate.

Tuttavia è evidente, anche in alcuni passaggi di questi letterati, che la realtà di tale Opera non sia da ricercare solo nella critica dello stile letterario e dell’apparente contenuto.

Autore Alfonso Oriente

Alfonso Oriente, nato a Napoli il 13/06/1965, è Professore di Reumatologia e Riabilitazione Reumatologica presso l'Università Federico II di Napoli. Ha compiuto ricerche in campo immunologico per diversi anni presso la Johns Hopkins University negli Stati Uniti. Appassionato di esoterismo, letteratura, musica rock e jazz, considera il suo vero hobby riuscire a scrivere di queste cose insieme.