Home Cultura Marisa Merz. Geometrie sconnesse palpiti geometrici a Collezione Olgiati

Marisa Merz. Geometrie sconnesse palpiti geometrici a Collezione Olgiati

876
'Marisa Merz Geometrie sconnesse palpiti geometrici'


Download PDF

In mostra dal 22 settembre 2019 al 12 gennaio 2020 a Lugano

Riceviamo e pubblichiamo.

Dal 22 settembre 2019 al 12 gennaio 2020 la Collezione Giancarlo e Danna Olgiati di Lugano presenta l’esposizione ‘Marisa Merz. Geometrie sconnesse palpiti geometrici’, dedicata a Marisa Merz (Torino, 1926 – 2019), unica esponente femminile del gruppo dell’Arte Povera e tra le più significative protagoniste della scena artistica italiana dagli anni Sessanta.

Una selezione delle sue opere più iconiche mette in rilievo una tematica ricorrente nel lavoro dell’artista, ovvero la sua ricerca sul volto o meglio sulla figura.

Il progetto espositivo, curato da Beatrice Merz e sviluppato con la collaborazione della Fondazione Merz, si colloca nell’ambito di una serie d’iniziative dedicate ad artisti presenti nella Collezione Giancarlo e Danna Olgiati e si avvale di prestiti provenienti da importanti collezioni pubbliche e private – in gran parte svizzere – oltre che dalla collezione personale dell’artista.

La mostra riunisce un corpus di quarantacinque opere che ripercorrono l’intero orizzonte creativo di Marisa Merz: dal disegno su diversi supporti alla scultura in argilla cruda, dalle tessiture di filo di rame e di nylon agli oggetti trasformati in cera, nel tentativo di restituire tutte le modalità espressive proprie dell’artista.

L’esposizione, che copre più di cinquant’anni di ricerca, si apre con alcuni capisaldi della produzione di Marisa Merz. Opere iconiche come Senza titolo del 1975 documentano gli esiti più alti dell’indagine sul filo di rame, mezzo espressivo che le permette di esplorare i confini tra disegno e scultura.

A partire dagli anni Settanta i suoi interventi acquistano un carattere compiutamente ambientale, come testimonia la grande installazione in fili di rame lavorati a maglia, realizzata nel 1979 e da allora mai più esposta.

La mostra prosegue con un’ampia selezione di lavori, alcuni inediti, che comprendono disegni e tecniche miste su differenti supporti unitamente ad un raffinato gruppo delle sue celebri ‘testine’ in creta. Tutte opere che dagli anni Ottanta tracciano il percorso più recente di Marisa Merz, mettendo in luce una tematica ricorrente nella sua produzione, l’indagine sul volto o sulla figura, individuata come punto di riferimento nel percorso espositivo.

Afferma nell’introduzione in catalogo Beatrice Merz:

Il percorso della mostra è disegnato per permettere alle singole opere di intrattenere un dialogo serrato tra loro creando, così, un campo di forza scandito da una successione di volti sconosciuti e trasfigurati, ma profondamente reali; volti o figure che sono eseguiti attraverso la sovrapposizione di segni e materie, in un ritmo quasi ossessivo.

Il titolo stesso della mostra Geometrie sconnesse palpiti geometrici – frase autografa dell’artista, appuntata su una parete della sua casa – studio – si pone come sibillina guida al personalissimo universo segreto di Marisa Merz, di cui la mostra di Lugano desidera restituire la complessità lirica e rigorosa al tempo stesso.

Catalogo
La mostra è accompagnata da un catalogo bilingue, italiano e inglese, che include un testo introduttivo di Beatrice Merz, Presidente della Fondazione Merz, unitamente a saggi critici degli storici dell’arte Ester Coen e Douglas Fogle. La pubblicazione è corredata da immagini a colori di tutte le opere esposte e fotografie dell’allestimento. Mousse Publishing, Milano.

Marisa Merz (Torino, 1926 – 2019)
Nata a Torino nel 1926, Marisa Merz esordisce negli anni Sessanta esponendo sculture di lamina in alluminio, composte da più elementi spiraliformi, mobili e irregolari. Legati alla ricerca sui materiali e ad una progettualità essenziale, questi primi lavori – presentati da Sperone a Torino già nel giugno del 1967 – anticipano e preparano la partecipazione dell’artista al movimento dell’Arte Povera.

Con alcune azioni – celebre quella con le coperte arrotolate disposte sul bagnasciuga di Fregene nel 1970, in contemporanea con la prima personale alla galleria L’Attico a Roma – l’artista introduce nel linguaggio della scultura contemporanea tecniche e manufatti artigianali tradizionali o appannaggio del lavoro femminile, attribuendo piena dignità artistica a procedure e materiali del quotidiano e allontanandosi così sia dalla poetica delle strutture primarie, razionali e autoreferenziali del minimalismo, sia dal gruppo dell’Arte Povera, rispetto al quale mostra fin d’ora una sensibilità eccentrica.

Unita alla componente temporale presente già nei lavori a maglia, questa la porta precocemente a raccogliere, combinare e ridefinire proprie opere precedenti come nell’assertivo ‘Ad occhi chiusi gli occhi sono straordinariamente aperti’, 1975, che intitola la seconda personale all’Attico accostando le sculture in filo di rame, la ‘Scodella di sale’, 1967, Bea e ‘Scarpette’, 1968.

Dalla metà degli anni Settanta gli interventi di Merz acquistano un carattere compiutamente ambientale, dapprima con la serie di stanze che l’artista allestisce in spazi complementari: quello aperto e pubblico della galleria o quello sotterraneo e segreto di una cantina o del proprio studio, con un movimento continuo dalla dimensione privata a quella pubblica, una metamorfosi ininterrotta delle tracce graffite in forme scultoree e della fisicità materica in cromie dipinte.

Sarà negli anni Ottanta che le diverse voci in cui da sempre si traduce la sua creatività troveranno nelle raffinatissime carte, nelle testine grevi e impalpabili e nelle pale d’altare polimateriche la loro sintesi perfetta e la loro compiuta maturità: ne danno testimonianza le personali allestite dalle gallerie Bernier, Atene, Fischer, Düsseldorf, Tucci Russo, Torino, gli inviti della Biennale e di Documenta, nonché la partecipazione a importanti selezionate collettive: dopo la Biennale di Venezia del 1980, è a Parigi per ‘Identité italienne. L’art en Italie depuis 1959′, curata per il Centre Pompidou da Germano Celant nel 1981, poi a Palazzo delle Esposizioni, a Roma, per ‘Avanguardia. Transavanguardia’, a cura di Achille Bonito Oliva, nel 1982, anno in cui è anche a Documenta.

In seguito l’artista centellina ulteriormente la sua già rarefatta presenza pubblica: tra le personali museali sono da ricordare: Centre Georges Pompidou, Parigi, 1994; Kunstmuseum Winterthur, 1995 e 2003; Stedelijk Museum, Amsterdam, 1996; Galleria d’Arte Moderna Villa delle Rose, Bologna, 1998; Museo MADRE, Napoli, 2007; Centre international d’art et du paysage, Ile de Vassivière, 2010; Fondazione Querini Stampalia, Venezia, 2011; Fondazione Merz, Torino, 2012; Serpentine Gallery, Londra, 2013, Macro Museo d’Arte Contemporanea, Roma, 2016; The Metropolitan Museum of Art, New York, e Hammer Museum, Los Angeles, 2017; Serralves Museum of Contemporary Art, Porto e Museum der Moderne, Salzburg, 2018. Nel 2013 la Biennale di Venezia le ha conferito il Leone d’Oro alla carriera.

La Collezione
Contestualmente all’esposizione temporanea, la Collezione Giancarlo e Danna Olgiati propone come ogni anno una selezione inedita di opere provenienti dalla raccolta, che comprende artisti internazionali fra i più rilevanti delle avanguardie del XX e XXI secolo.

Fulcro dell’allestimento è un’intera sala dedicata ai principali esponenti dell’Arte Povera, nell’intento di sottolineare l’importanza del contesto culturale in cui Marisa Merz si trovò ad operare agli esordi della sua carriera artistica.

Nella sala adiacente dialogano tra loro opere dell’arte italiana del Secondo dopoguerra, prima fra tutte Suicidio del 1964 di Mario Schifano, dipinto di recente acquisizione al quale sono accostati lavori di Tano Festa e Franco Angeli.

L’allestimento continua con la grande tela di Emilio Vedova che, situata tra le più recenti opere pittoriche di Günther Förg e Harold Ancart, mette in relazione fra loro le avanguardie italiane e le ricerche internazionali contemporanee; in questa sezione due coloratissime sculture dello svizzero Ugo Rondinone sono poste a confronto con una grande fotografia astratta di Wolfgang Tillmans unitamente ad opere di R. H. Quaytman, Piero Dorazio e Roberto Cuoghi.

Il percorso prosegue con le ricerche pittoriche dell’americano Christopher Wool che si relazionano con le indagini sul monocromo e i pigmenti di Yves Klein e Anish Kapoor. L’ultima sezione si concentra sul dialogo tra due figure cardine del Novecento italiano: Jannis Kounellis, con due opere fortemente legate alle avanguardie storiche, e Alberto Burri, del quale viene presentato per la prima volta un Cretto del 1972.

Completa l’allestimento una sala dedicata al Futurismo, dove accanto ai dipinti dei maestri Balla, Depero, Prampolini e Magnelli, è collocata una tra le più ricche collezioni di libri e documenti legati a questo movimento.