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Vivere e morire a Parigi

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Chris Marker


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Vivere e morire a Parigi, da totale sconosciuto, mentre nel resto del mondo ti inseguono, fanno prospettive, ti celebrano, ti premiano, ti intitolano sale cinematografiche, scrivono nei libri di storia del cinema e ti studiano, mettono su dei musei.

E tu lo sai, ma non ti interessa.

L’altro giorno un giovane attore di una soap opera si divertiva moltissimo a raccontarmi quanto fosse gratificante essere riconosciuto per strada, essere chiamato non con il suo nome, ma con quello del personaggio che interpreta, quanto gli rendesse la vita più allegra firmare autografi e fare autoscatti con i suoi fan. Poi ammette che a volte lo scambiano per l’altro protagonista giovane della soap, che nessuno conosca il vero nome, e che ciò onestamente avvenga con tutti gli attori e le attrici di qualunque soap, fiction, film.

Poco importa, l’importante è essere riconosciuti, fare parte di questo mondo a strati. Chi sei, chi sanno che tu sia e chi sembri di essere. Ma è il mondo degli attori, in fondo ci mettono la faccia. Per un pubblico medio sono loro l’incarnazione di ciò che vedono, sceneggiatori e registi nemmeno esistono, molti ancora non sanno nemmeno davvero che mestiere sia il regista.

Ancora qualche anno fa, Paolo Sorrentino, passeggiava silenzioso per il Vomero, a Napoli, una volta lo ricordo all’inaugurazione di un negozio di prodotti multimediali, in un angolo a guardare DVD, ignorato dal mondo, mentre il mondo prendeva d’assedio due noti comici locali.

Ma torniamo all’indizio iniziale.

Vivere e morire a Parigi a novantuno anni cardine della storia del cinema, sentire pronunciare il suo nome e notare che nessuno sa lontanamente tu chi sia. Poteva esserci qualcosa di più soddisfacente per uno come Chris Marker?

Chi? Chris Marker!

Circa cinquanta film, di cui almeno dieci essenziali e fondamentali per la storia del cinema, appassionato di ottica, fotografia, elettronica, informatica, artista, pittore, musicista, attivista politico, giornalista.
Non basterebbe un’enciclopedia per parlare di Marker e io non potrei aggiungere nulla di interessante a quanto già non sia stato detto in milioni di saggi su di lui.

Nel 2002, lo scrittore Paul Auster, pubblica un romanzo dal titolo ‘Il libro delle illusioni’. In poche parole, un documentarista guardando alcuni vecchi film dell’epoca del muto nota la presenza di un attore che aveva avuto un enorme e fulmineo successo che lo aveva reso celebre e ricco prima di morire in un incidente.

Facendo alcune ricerche scoprirà che Hector Mann, appunto l’attore, aveva solo inscenato la propria morte e lo ritroverà molto anziano in una località del Messico, in cui Mann aveva messo su un piccolo studio cinematografico con cui produceva piccoli film con l’aiuto degli abitanti del paese, attività che si sublimava quando tutti gli abitanti assistevano alla proiezione del film, per poi bruciarlo e iniziare a produrne un altro.

Mann, insomma, si era ritirato dalle scene, nel pieno del successo, perché aveva capito che fare cinema non poteva essere un’arte autoreferenziale, industriale, stritolatrice di persone, usata per fare solo soldi e basta.

Marker, dal canto suo, anche non fingendosi morto come il personaggio del romanzo, anzi essendo più vivo che mai, tanto da essere per Terry Gillian, nel 1995, fonte di ispirazione del film ‘L’esercito delle 12 scimmie’, influenzato, anche di più, dal mediometraggio ‘La Jetée’ di Marker, impone al mondo, dal suo silenzio, umano ma non artistico, l’idea del film saggio come genere, non illustrativo come un documentario, anzi di fatto, creatore ideale e fattivo, di una nuova forma di cinema naturalistico, indipendente ma sensazionale.

‘Sans Soleil’, la cui produzione credo sia costata quanto quella di un minuto di un qualsiasi ‘Star Wars’, ne è altrettanto magico esaltante ricco e coinvolgente.

Con ‘Level Five’ usa il videogioco strategico di simulazione, come vero protagonista di una trama monologata, un racconto epico che avviene tra la parola e la grafica essenziale di un computer degli anni ’90.

E come uomo isolato, per modo di dire, invece, è presente e testimone degli ultimi pensieri di Andrej Arsen’evič Tarkovskij, regista russo paragonabile per impegno, capacità e fantasia al solo Kubrick, suoi ‘Solaris’ e ‘Stalker’, e dobbiamo alla curiosità e all’umiltà di Marker se ci resta questo documentario: ‘One Day in the Life of Andrei Arsenevich’.

Non poteva mancare, nell’immaginario creativo, anticipatore e percettivo del futuro, quello che oggi potremmo dire, somigliante ad uno dei milioni di video postati sui social che riguardano quelle creature meravigliose che sono i gatti.

Nel 1990, Marker, gira e monta un video di tre minuti che racconta il suo gatto, disteso su una tastiera musicale ad ascoltare la musica: ‘Chat écoutant la musique’.

Non sono mancati nella sua vita, né i cartoni animati, né la documentaristica antropologia, né la fiction, né i ritratti di personaggi famosi come Simone Signoret a cui Merker dedicherà ‘Mémories pour Simone’.

Marker, soprattutto nella seconda parte della sua vita, non rilascerà più interviste, non apparirà mai in pubblico nemmeno per caso, non parlerà più se non attraverso i suoi film. Una cosa del genere in Italia sceglierà di farla solo Lucio Battisti nel 1979, atteggiamento che è durato fino al 1998 l’anno della sua prematura scomparsa a soli 55 anni.

Marker sceglierà, in un’epoca ancora precedente ed avendo vissuto molti anni, di lasciare cadere nel dimenticatoio la sua immagine e la sua voce e basterà una generazione di assenza per diventare di fatto invisibile, pur essendo presente almeno fino al 2004, anno della sua ultima produzione conosciuta ‘Chats Perchés’.

Si può vivere, quindi, essendo artista, non assoggettandosi ad una massa sognante, alla quale interessa solo quello che rappresenti o quello che in proiezione vorrebbero essere loro, in un mondo ideale, fatto di materia inconsistente, ma che promette divertimento e soldi facili, si può vivere quindi?

Si può scegliere di fare e di essere, attori, registi, scrittori, senza dover per forza sfruttare la “disperazione” e l’isolamento di un pubblico che avrebbe invece bisogno non di consolazione ma di riferimenti.

Si può? Si potrebbe sì, se rinunciassimo ai “facili entusiasmi e ideologie alla moda”, proprio come cantava Lucio Battisti, descrivendo il suo stato d’animo in una giornata uggiosa, forse metereologicamente, forse interiormente, mentre era anch’egli ormai irriconoscibile, a spasso in un supermarket della Brianza.

O, semplicemente, con un ribaltamento di campo, dovrebbe essere l’uomo comune a togliere dall’impiccio della propria sorte il ragazzo della soap opera, che, comunque, in fondo anche lui crede illusoriamente che l’essere riconosciuto lo renda vivo più che visibile. E vale per i cantanti, per gli scrittori…

Se qualcuno avesse incontrato Chris Marker, in un giorno qualsiasi, per strada, pochi giorni prima di morire, nel 2012, magari riconoscendolo gli avesse chiesto:

“Chris, ma non abbiamo mai trovato il tuo numero di telefono, non abbiamo avuto più notizie di te, non hai una email, non sei su internet, non sei su Facebook, ma dove sei stato tutto questo tempo?”

Marker avrebbe risposto, non so con quale tono, ma con queste parole, indicando magari la finestra sopra di sé:

a casa mia.

E se ne sarebbe andato ad inquadrare qualcosa con il suo smartphone, perché sì, oggi Marker, girerebbe i suoi film con un iphone.

Autore Nicola Guarino

Nato a Napoli nel 1972, è diplomato all'Accademia napoletana d'arte drammatica e ha una qualifica di "Esperto in regia cinematografica e televisiva" rilasciata dalla Regione Campania. Si occupa di regia televisiva e cinematografica. Noto per il suo interesse per l'ufologia, è Socio Onorario del Centro Ufologico Nazionale, ne è stato consigliere, ricercatore e articolista.