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Della verità

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Ragno pavone


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Uomini o ragni?

Quid est veritas?
Vangelo secondo Giovanni (18:38)

Cos’è la verità?

Lo chiede Ponzio Pilato a Cristo durante l’interrogatorio, dopo l’affermazione:

Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce.
Vangelo secondo Giovanni (18:37)

Cristo non risponde, anche perché Pilato non gli dà il tempo di farlo, esce per ribadire ai giudei la sua mancanza di colpe.

Cos’è la verità?

Non proviamo, per il momento, a rispondere, lo faremo, quasi sicuramente, in un altro articolo.

Adesso preferiamo soffermarci sulla domanda, che un tempo era ricorrente, ma che di recente abbiamo un po’ tutti smesso di porre a noi stessi, per il semplice fatto che viviamo contesti in cui tutti pensano di averla raggiunta, di possederla.

E non è un caso che a questo si arrivi nel periodo della storia in cui probabilmente l’umanità è sempre più lontana dalla verità; avendo, appunto, smesso di cercarla.

Il richiamo agli uomini di dubbio di Bellavista è troppo semplice, soprattutto a poche settimane dalla scomparsa di Luciano De Crescenzo.

Sicuramente, però, chi ha certezze è pericoloso. Perché per la fede incrollabile in qualcosa si è disposti anche ad uccidere, o a morire.

Adesso, non importa in cosa si abbia fede, e non è qualcosa da intendere semplicemente in un’accezione religiosa. Si può avere fede in un’idea politica, in una visione del mondo che può essere consolidata da paradigmi scientifici o pseudo tali.

Ma la cosa peggiore legata alla presunzione di possedere la verità sono i risvolti che questa convinzione genera in campo relazionale, nei rapporti con gli altri.

Chi crede di essere nel vero, sostanzialmente, smette di ascoltare.

Sì, perché se sono nel vero, che altro mi serve sapere? Che altro posso aggiungere alla mia visione?

Di conseguenza non ho bisogno di ascoltare, nel senso più ampio che possiamo conferire a questo termine.

Non ascolto le persone che sono vicine, con le quali lavoro o condivido pezzi di vita.

Non ascolto chi mi propone idee, che possano essere politiche, scientifiche, che possano riguardare la vita o i massimi sistemi.

Non ascolto quello che mi può dire chiunque, non importa se su un social, in televisione o nel vagone di un treno.

Non ascolto nemmeno quello che può dirmi un libro; del resto le statistiche sulla lettura di libri, in Italia soprattutto, sono desolanti.

In fondo, se conosco già la verità che bisogno ho di ascoltare?

Questo significa che quello che dico, che penso, che scrivo, ha la validità di sentenza, che è inoppugnabile.

Se penso di sapere, la mia personale ricerca si ferma.

Smetto di crescere, forse non ho mai iniziato a farlo.

La presunzione di essere nel vero, nel giusto; lo smettere di ascoltare porta con sé un’altra conseguenza, gravissima quanto inevitabile, nel rapporto con gli altri.

Se quello che credo e che penso è la verità, chi esprime posizioni diverse dalla mia da me è in errore.

Necessariamente!

Quindi la persona dall’altro lato è in qualche modo ontologicamente “inferiore”.
Ascoltare è l’unico modo per entrare in contatto con gli altri, per esercitare quel sentimento che viene definito come empatia.

Il problema è, dunque, anche e soprattutto emotivo, relazionale.

Quando noi consideriamo una realtà animata (animale o umana) da un punto di vista o da uno schema di riferimento puramente esterno, senza sforzarci di capirla dall’interno per via empatica, noi la riduciamo allo stato di oggetto.
Carl Rogers

Non comunicare, non avviare un processo empatico con l’altro, porta ad una conclusione terribile.

Se la mia chiusura mi porta al punto di considerare chi ho di fronte non una persona, ma un oggetto, posso bullizzare, offendere, umiliare, posso augurare la morte, posso gioire della sofferenza e della morte di qualcuno.

In fondo lo sto facendo nei confronti di chi per me rimane un oggetto.

Credo che l’empatia sia la qualità più essenziale di una civiltà.
Roger Ebert

Questo è uno dei maggiori sostegni dell’esistenza umana: trovare risonanza emotiva in altri uomini ai quali si è affezionati e la cui presenza suscita un caldo sentimento di appartenenza. Questa reciproca conferma mediante i sentimenti, la risonanza emotiva tra due o più persone, ha un ruolo centrale nel conferire un significato e un senso di appagamento all’esistenza.
Norbert Elias

L’assenza di ascolto, l’assenza di empatia, ci privano della nostra civiltà, ci privano della nostra umanità.

Sì, perché l’unica specie animale in grado di produrre cultura, civiltà, empatia, è quella umana.

La facoltà empatica richiedeva probabilmente un istinto di gruppo integro; un organismo solitario, per esempio un ragno, non saprebbe cosa farsene; anzi, l’empatia tenderebbe ad atrofizzare la capacità di sopravvivenza del ragno. Lo renderebbe conscio del desiderio di vivere insito nella preda. Di conseguenza tutti i predatori, compresi i mammiferi altamente evoluti, come i felini, morirebbero di fame.
Philip K. Dick

Cosa resta, dunque, della persona che non prova più ad assumere la prospettiva dell’altro, che non prova più a mettersi nei panni di chi ha di fronte?

Se l’uomo si distingue dalle altre specie animali anche e soprattutto per la sua capacità empatica, perdendo la stessa, possiamo arrivare alla conclusione che si smette di essere umani?

Viste le recenti evoluzioni sociali, verrebbe da dire che stiamo diventando sempre meno uomini e sempre più ragni.

Con tutto il rispetto per i ragni.

Autore Pietro Riccio

Pietro Riccio, esperto e docente di comunicazione, marketing ed informatica, giornalista pubblicista, scrittore. Direttore Responsabile del quotidiano online Ex Partibus, ha pubblicato l'opera di narrativa "Eternità diverse", editore Vittorio Pironti, e il saggio "L'infinita metafisica corrispondenza degli opposti", Prospero editore.