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Morte e rinascita di un uomo in gabbia

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Le vicende della cella zero in una cruda riproposizione

Domenica 17 gennaio, ore 18:30, presso il Teatro Bolivar di Napoli, è andato in scena lo spettacolo “Sottozero – Morte e rinascita di un uomo in gabbia”, dramma carcerario ispirato alla storia di Pietro Ioia. Regia di Sandro Dionisio, assistente alla regia Marina Billwiller. Scene Flaviano Barbarisi. Trucco Chris Barone. Musiche Mario Conte.

Sandro Dionisio, Pietro Ioia ed Antonio Mocciola hanno dato vita a questa pièce con il preciso intento di raccontare una vicenda “senza le edulcorazioni della fiction e senza i fronzoli di un film hollywoodiano”.

In scena Ivan Boragine, Diego Sommaripa, Marina Billwiller e lo stesso Pietro Ioia che, in un’interessante inversione dei ruoli, ha interpretato uno dei suoi aguzzini.

Una di quelle rappresentazioni che in qualche modo lascia il segno. Comunque la si veda è impossibile rimanere indifferenti. Realisticamente drammatico, volutamente esasperato, provocatoriamente shoccante.

“Sottozero – Morte e rinascita di un uomo in gabbia” è uno spettacolo espressione di teatro civile, una denuncia sociale di ciò che non dovrebbe mai accadere in un istituto di pena che perde la sua funzione rieducativa.

Sottozero è la storia vera di Pietro Ioia, caduto e risorto dalle sue ceneri, ma anche dei tanti Pietro Ioia che da quell’inferno non sono più usciti.

Sottozero è il gelo nelle ossa e sulla pelle. Perché nessuno si senta escluso.

Siamo negli anni ‘80 nel carcere napoletano di Poggioreale dove Ioia rimarrà 22 anni in seguito all’arresto per spaccio internazionale. Con i compagni si troverà a subire una serie di sevizie, pestaggi, umiliazioni e maltrattamenti nella cosiddetta “cella zero”.

Fin dalla prima scena, critica e pubblico, si dividono. Il sipario si alza e già partono i primi mormorii in sala che, nel corso della rappresentazione, diventeranno, a tratti, compartecipazione e sdegno.

Sì perché tra gli astanti c’è chi ha condiviso, sulla propria pelle o forse solo di riflesso, la forte esperienza raccontata. Ma c’è anche chi storce il naso e sembra non gradire affatto.

Immagini crude, drammatiche, forti, violente. Nulla viene risparmiato.

La scelta del registro linguistico è efficace, ma disorienta. Apoteosi della trivialità indugia, consapevolmente, in particolari troppo intimi, ma proprio per scatenare una reazione forte tra gli spettatori. Linguaggio popolare, quotidiano, osceno, ma sempre realistico ed efficace.

Nessun filtro linguistico per arrivare dritto alle coscienze, smuoverle, rendendo impossibile ogni fraintendimento. Discorsi aulici e delicati sarebbero stati inappropriati dato l’argomento trattato e l’ambientazione. Non mancano però riflessioni nostalgiche sull’importanza degli affetti, dell’amore, della famiglia.

D’altronde non è la prima volta che un autore sceglie di far parlare i suoi personaggi in modo infimo e crudo. Un esempio tra tutti il contemporaneo David Mamet, la cui grandezza drammaturgica e scenografica non è mai stata in discussione per il registro adottato, che ne fa, anzi, il punto di forza della sua produzione artistica.

Le scene di nudo integrale non appaiono volgari e rispondono perfettamente alla scelta drammaturgica adoperata. Siamo di fronte ad una metaforica nudità dell’anima, ad un uomo spogliato del tutto di ogni dignità ed umanità, non certo di un elemento piccante o, almeno, questa la nostra personalissima opinione.

La scelta di mostrare i corpi nudi resi man mano irriconoscibili dalla comparsa di ematomi, tagli, lividi; la crudezza delle immagini di ferite inflitte e autoinflitte con il sangue che sgorga copioso, rimanda agli stratagemmi cinematografici così verosimili che sembra stiano avvenendo davvero.

L’unico personaggio femminile sul palco è Marina Billwiller, nel ruolo della moglie del protagonista, che rimarrà accanto a lui a portare avanti la famiglia nonostante i 22 anni di lontananza e che sarà a sua volta vittima di violenza dall’aguzzino del marito quando andrà a trovarlo in prigione.

Ottima l’interpretazione di tutti gli attori, il loro estremo realismo, la sofferenza che riescono a trasmettere.

È uno spettacolo che però non condanna tutto il corpo di polizia penitenziaria. Anzi, come dirà a fine rappresentazione il regista, l’opera è dedicata ai Servitori dello Stato meritevoli che si distinguono per l’onore con cui portano la divisa oltre che ai detenuti che hanno condiviso questa esperienza disumana.

Le parole conclusive della pièce sono una forte affermazione dell’umanità di ogni uomo, indipendentemente dal motivo per cui è stato incarcerato.

In un monologo immaginario con il Ministro, Ioia denuncia i soprusi subiti e ribadisce, di essere “un uomo, un uomo, un uomo”.

Ricordiamo che in seguito alla denuncia di Ioia la Procura della Repubblica di Napoli ha aperto un’inchiesta proprio per far luce sulla questione.

La rinascita di Ioia, emblematicamente, è rappresentata dalla neve, più volte richiamata durante lo spettacolo. Neve che, candida e pura, assurge ad un significato spirituale di energia rinnovata, possibilità di riscatto, spiraglio di luce finale, speranza di un futuro migliore. Perché anche a Napoli può verificarsi un evento eccezionale, una nevicata epocale come quella del 1956, anno della sua nascita. E infatti, il giorno della sua scarcerazione, in maggio, immagina “vederla” così come gli era accaduto anche in fasce.

Una volta tornato libero Ioia darà una nuova direzione alla sua vita diventando Presidente dell’Associazione Ex Detenuti di Poggioreale, continuando a lottare da attivista:

È giusto che chi sbaglia paghi, ma è assolutamente necessario gestire il tutto con dignità e rispetto. I drammi della cella zero del carcere di Poggioreale umiliano gratuitamente i carcerati attraverso torture fisiche e psicologiche che non possono continuare ad esistere ed attraverso questo spettacolo si condannerà quest’aspetto oscuro della vita dietro le sbarre.

Concludiamo con la dichiarazione che Antonio Mocciola ci aveva rilasciato mesi fa, nel corso di un’intervista, in cui, dopo aver parlato di un altro suo testo, ci annunciava il progetto di “Sottozero”:

Siamo abituati a guardare dal buco della serratura e purtroppo portati a giudicare quello che vediamo, o peggio, crediamo di vedere. Porteremo a galla questa storia sperando di fare del teatro civile.

È dura, ma scegliamo le strade impervie perché ci danno più soddisfazione.

Autore Lorenza Iuliano

Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.