L’Assessore Buzzi ricorda la strage dei Georgofili
Riceviamo e pubblichiamo.
Serve una memoria attiva, perché è anche così che si combatte la mafia. Servono i magistrati, intelligenti e decisi ad andare fino in fondo. E di magistrati valorosi la Toscana ne ha avuti: Chelazzi, Vigna, Nicolosi, Crini, Caponnetto. Ma, oltre ai magistrati, è importante l’impegno di tutti.
Lo ricorda l’Assessore alla Presidenza della Toscana, mentre nel pomeriggio a Palazzo Strozzi Sacrati a Firenze, sede della Presidenza della Giunta regionale, si ricorda la strage dei Georgofili, ventisei anni dopo in un convegno che si protrae fin quasi all’ora di cena.
Presenti le istituzioni, presenti l’associazione tra i familiari delle vittime, il procuratore della Repubblica aggiunto di Firenze Luca Tescaroli, l’avvocato di parte civile al processo “Stragi 1993” Danilo Ammannato e i giovani, rappresentati da un gruppo di studenti del liceo scientifico Da Vinci che stamani ha rievocato quella notte che nel 1993 sconvolse la città.
Bisogna ringraziare l’associazione dei familiari delle vittime, dice l’Assessore, per aver portato avanti questa sua azione di memoria attiva: un qualcosa che le istituzioni, aggiunge la vice sindaca di Firenze, hanno il compito di custodire e su quella costruire poi la resilienza e dunque la speranza, a partire dai giovani. Perché non si potranno mai prevenire tutti gli atti criminosi, sono tutti d’accordo, ma a quei fatti non va lasciata l’ultima parola.
E la Regione Toscana è stata accanto all’associazione, ricorda di nuovo l’Assessore, in tutti questi anni in questa sua azione e per costruirne anche altre. Occorre essere vigili, perché le mafie fanno affari anche in Toscana. Occorre fare della lotta alla legalità un’assoluta priorità. Occorre conoscere. L’Assessore rammenta la collaborazione avviata tre anni fa con la Scuola Normale di Pisa per avere a disposizione un rapporto, aggiornato annualmente, sulla presenza della criminalità organizzata e della corruzione nella regione.
Ne sono già state pubblicate due edizioni. Ricorda i 33 beni confiscati in Toscana alle mafie e restituiti alla collettività: il più importante la tenuta di Suvignano a Monteroni d’Arbia e Murlo nel senese, 700 ettari ora passati alla Regione, che dovranno produrre reddito e lavoro ma che diventeranno anche un luogo dove organizzare attività per la legalità, campi di lavoro per gli studenti, mostre e incontri.
La Regione intende farlo per non disperdere la memoria. In questo senso va anche il progetto di digitalizzazione di tutta la documentazione relativa ai processi per le stragi nel 1993: un’iniziativa promossa dalla Procura di Firenze e dalla Regione nel 2018 ed accolta dal Comitato scientifico istituito tra ministero dell’istruzione, Consiglio superiore della magistratura e Ministero della Giustizia, in corso di elaborazione a cura dell’Archivio di Stato di Firenze.
Quel processo sulle stragi del 1993 si è concluso con la condanna degli esecutori e mandanti interni di Cosa Nostra. La giustizia, afferma il procuratore Testaroli, ha dimostrato in quel modo di saper funzionare, cancellando la certezza antica di immunità dei mafiosi. Lo Stato nel suo insieme non ha ceduto, è d’accordo l’avvocato Ammannato: la magistratura nel suo insieme ha fatto il suo dovere e isolato quei piccoli settori di Stato che invece con la mafia, collusa da sempre con i poteri politici ed economici, volevano arrivare a patti.
Ma rimangono alcune domande ancora senza risposta: quelle domande, sui mandanti delle stragi esterni a Costa Nostra, che fanno invocare a Giovanna Maggiani Chelli, Presidente dell’associazione “Tra i familiari delle vittime”, il bisogno di un ultimo sforzo e atto di giustizia. Ventisei anni dopo, a poche ore dal silente corteo che all’una di notte si recherà anche stanotte sotto la Torre dei Pulci, dietro piazza della Signoria, per ricordare Angela Fiume, Fabrizio Nencioni, le loro figlie Nadia e Caterina di nove anni e due mesi e lo studente di architettura Dario Capolicchio di Sarzana, che il 27 maggio 1993 morirono per l’esplosione e l’incendio causato da quei 277 chili di tritolo collocati nel cuore di Firenze.