La difficoltà di essere donna e mamma al TRAM in ‘Dolce attesa per chi?’
Ieri, sabato 9 marzo, sono ritornata con grandissimo piacere al TRAM di Napoli, per assistere ad una delle pièce rappresentate nell’ambito della rassegna ‘D maiuscola‘, ideatrice e direttore artistico Titti Nuzzolese, in scena dal 5 al 10 marzo, dal titolo ‘Dolce attesa per chi?’, di Betta Cianchini, per la regia di Marco Maltauro, con le due fantastiche protagoniste, Giada Prandi e Veronica Milaneschi, musiche originali Stefano Switala, light designer Luca Carnevale, scene Tiziana Liberotti, costumi Chiara Paramatti, aiuto regia Francesca Blancato, produzione Aut-Out.
Ogni volta che si varca la soglia di questo piccolo spazio teatrale si accede ad un’altra dimensione in cui l’incessante ricerca e il magma creativo di registi, scenografi, personale di scena e, naturalmente, protagonisti, trasportano lo spettatore in un vortice di sensazioni e impressioni mai scontate e mai volgari.
Stavolta, in questa avventura tutta “al femminile”, ho avuto come co-pilota una giovane amica, Giulia Rinaldi, che ringrazio qui per avermi supportato con le sue impressioni, i suoi appunti e la freschezza ed acutezza del suo sguardo di giovane donna in divenire, sperando che il ritratto del nostro paese, declinato al femminile, non la scoraggi troppo.
La prima parola che mi viene in mente è esilarante, la seconda è ironia intelligente, anche se in un palcoscenico essenziale e a dir poco scarno, l’abbondanza di indumenti e dotazioni militari sembra ricordarci che la vita delle donne moderne è una continua battaglia, se non una vera e propria guerra.
Tuttavia, la capacità di ironizzare con levità sulle contraddizioni e difficoltà del vivere la femminilità nella nostra epoca e società permea ogni argomento trattato, evitando di scadere in uno sterile e scontato sarcasmo veterofemminista.
Si parte da uno spunto personale della sceneggiatrice, il tentativo di prenotare un’amniocentesi presso il Servizio Sanitario Nazionale e lo sconcerto nello scoprire che per ottenere l’agognata prenotazione ci sarebbero voluti ben 7 mesi, con la conseguente inutilità dell’esame stesso. Come prevedibile, il suggerimento di praticarla privatamente, con conseguente corsia preferenziale, alla modica cifra oscillante tra i 500 e i 1.000 euro.
A chi di noi non è capitata una vicenda simile? Se facessimo l’appello, come in classe, ci sarebbero una selva di mani alzate:
A me…
ed anche a me una volta… sì
sì… va spesso così.
Ed il bello di questo spettacolo è proprio la sua capacità di farci compenetrare nelle vicende della protagonista principale, Bianca, interpretata dalla sorprendente Giada Prandi, con il contrappunto della sua comprimaria Veronica Milaneschi, che, di volta in volta, impersona vari ruoli, a fare da contraltare allo snodarsi dell’epopea umana della nostra.
Bianca è una di noi. È una ragazza in attesa di un figlio desiderato; è una ragazza che aveva dei sogni e che probabilmente non ha smesso ancora di crederci; è quella ragazza che, al primo appuntamento con il futuro fidanzato, Ignazio, non sa se concedersi, pur probabilmente avendone voglia, oppure no, per non sembrare troppo facile.
Bianca, che entra in contatto con la sua parte istintuale o, meglio, con la sua “Origine del mondo”, come la definì il famoso pittore Courbet, in un dialogo sospeso tra la pancia e la ragione, divertentissimo e surreale.
Ma, ancora, a chi di noi, e mi rivolgo specialmente all’universo femminile, non è capitato almeno una volta un dilemma simile? Tra la voglia di abbandonarsi alla passione e le pastoie delle convenzioni sociali e dell’’educazione familiare, che ci suggerivano di frenare l’impeto per tema di essere considerate “poco serie” e quindi non affidabili e degne di considerazione come eventuali spose e madri, mentre all’uomo tutto era concesso e perdonato.
E ancora, in un incalzare di temi che sono universali e particolari al tempo stesso, assistiamo al suo travaglio interiore, mentre è incinta del suo bimbo e oscilla tra la forza e la beatitudine del suo stato, in un momento in cui le sembra di poter, da sola, sollevare il mondo sulle spalle, e un attimo dopo, come rovescio della stessa medaglia, affoga nelle insicurezze, nei dubbi, nelle paure, nelle fragilità che affiorano in un periodo così delicato.
La gravidanza e la vicenda umana di Bianca si dipanano, mentre, incinta, assiste anche la madre ammalata di Alzheimer, e la ricorda da giovane, in un momento di vita analogo, rappresentata in maniera commovente e intensa dalla coprotagonista Veronica Milaneschi, in tutta la sua drammaticità e forza, come modello da seguire e fonte di ispirazione che, venendo meno a causa delle sue precarie condizioni di salute, lascia la nostra protagonista senza punti validi di riferimento.
Ci appassioniamo alla situazione economicamente e sentimentalmente precaria della protagonista, supportata pochissimo anche dal compagno di vita e padre del bambino, il famoso Ignazio, ricercatore in partenza per l’Australia, per necessità o per larvata vigliaccheria, non si sa, ma capace di brillare per la sua assenza.
Incontriamo, poi, nemesi e contraltare della nostra Bianca, l’archetipo della puerpera sposata con un uomo ricco, sempre rappresentata dalla Milaneschi, con dovizia di particolari e ironia, ma, anche qua, senza troppa cattiveria. Donna apparentemente spensierata e felice, perché libera da ansie e preoccupazioni economiche, e quindi concentrata esclusivamente sulle indubitabili gioie della gravidanza, nasconde tuttavia anch’essa un cruccio: suo marito è gobbo e sordo e quindi anch’essa, pur se in maniera diversa, è sola ad affrontare il suo stato. Anche le ricche, se incinte, piangono? Chissà.
Al temine dei nove mesi di rito ci ritroviamo in ospedale, al capezzale delle nostre protagoniste, in procinto di partorire ma entrambe sole più che mai, una psicologicamente, per incapacità funzionale del marito di ascoltare le sue richieste, l’altra fisicamente, per l’assenza del compagno, lontano per lavoro.
Raggiungiamo, in un crescendo che ci avvolge e coinvolge sempre di più, l’amara consapevolezza che in un paese come il nostro, una delle potenze mondiali ammesse al tavolo dei grandi, è difficile fare figli se non si hanno possibilità economiche ingenti, se non si può contare sulla presenza di famiglie presenti e disposte a farsi carico, anche economicamente, della gestante e del nascituro, e che , spesso, comunque vada, la donna affronta la maternità prevalentemente da sola, con la presenza se altalenante del proprio partner, rappresentato come comprimario sempre più sbiadito, non si sa se per più per volontà o per causa di forza maggiore.
Il nostro paese, l’Italia, dove nulla è facile da ottenere, neanche i diritti acquisiti e fondamentali per il benessere del cittadino e dove la quotidianità diventa, per i più, una continua guerra di trincea.
Il nostro paese, l’Italia, dove fare figli è un lusso, dove si deve scegliere se conservare un lavoro sempre più evanescente e precario o stringere tra le braccia il frutto del nostro amore.
Un paese, l’Italia, che si definisce civile.
La tensione è fortissima, fino a quando una battuta, fulminante, non ci riporta alla realtà di spettatori seduti a teatro.
Luci.
Sipario.
Signori, questa è l’Italia.
Foto Corrado Rinaldi
Autore Floriana Narciso
Floriana Narciso, napoletana. Un cuore sospeso tra Napoli e la verde Irlanda. Mediterranea nell'aspetto ma "Irish"nel midollo, vive costantemente in bilico tra due culture e pensa in due lingue fin dal primo vagito. Laurea in lingue straniere europee, dottorato in linguistica per scopi speciali su tematiche di politica internazionale, vive e lavora tra varie realtà. Pensa a buon diritto che i libri e i gatti siano i migliori amici dell'uomo. Nel suo sangue scorre prevalentemente un buon tè nero, forte e bollente anche sotto il solleone. Scrive perché non riesce a farne a meno.