La ‘trilogia delle utopie’ iniziata con ‘Noi credevamo‘ e proseguita con Il giovane favoloso trova in Capri-Revolution una chiusura emblematica ed ideale: Mario Martone ha dato vita al film più complesso e insieme più affascinante dei tre, con protagonista una donna ribelle che “da bruco diventa farfalla” grazie alla sua curiosità, alla sua apertura al prossimo e alla ricerca di libertà.
Prendendo spunto dall’esperienza della comune che il pittore Karl Diefenbach creò a Capri tra il 1900 e il 1913, e tenendo come riferimento principe i concetti elaborati negli anni ’60 dall’artista tedesco Joseph Beuys – Capri battery – , il regista napoletano ambienta nel 1914 la storia che ci racconta.
L’Italia sta per entrare in guerra e una comune di giovani nordeuropei ha trovato sull’isola di Capri il luogo ideale per la propria ricerca nella vita e nell’arte. Ma l’isola ha una sua forte identità, che si incarna in una ragazza, una capraia il cui nome è Lucia.
Il film narra l’incontro tra la giovane donna, la comune guidata da Seybu e il giovane medico del paese. E narra di un’isola unica al mondo, la montagna dolomitica precipitata nelle acque del Mediterraneo che all’inizio del Novecento ha attratto come un magnete chiunque sentisse la spinta dell’utopia e coltivasse ideali di libertà, come i russi che, esuli a Capri, si preparavano alla rivoluzione.
Capri-Revolution nonostante sia ambientato su un’isola all’inizio del secolo scorso, ha un respiro moderno e universale che si avverte già dal fatto che sia parlato in tre lingue – napoletano, italiano, inglese – senza alcun doppiaggio.
Libero dai riferimenti storici che erano stati linee guida fondamentali per ‘Noi credevamo‘ e ‘Il giovane favoloso‘, il film di Martone ha una potenza visiva capace di fondere la bellezza del paesaggio rurale e il fascino spigoloso di personaggi agli antipodi.
Una storia di ribellione, scoperta continua, sete di sapere, voglia di indipendenza con una donna come protagonista in quell’Italia arcaica in cui non era concepibile la ‘trasgressione’ femminile, la disobbedienza alla tradizione patriarcale che imponeva persino con chi doversi sposare.
La capraia Lucia è interpretata da una eccezionale Marianna Fontana, che dona al personaggio un’espressività intensa con una recitazione piena di fisicità e di sguardi rivelatori di rabbia, curiosità e passione inarrestabile.
Circondata da un cast in stato di grazia con la brava Donatella Finocchiaro in una figura di madre dimessa e nonostante tutto comprensiva nei confronti della figlia ribelle; con Antonio Folletto ottimo nei panni di un medico idealista, rigoroso e umano, e con i sorprendenti Gianluca Di Gennaro ed Eduardo Scarpetta ad impersonare i fratelli di Lucia che si ritrovano a fare da padri padroni ad una sorella che non vuole sottostare a quelle regole ‘maschiliste’ che la convenzione della società dell’epoca ‘imponeva’ ancor di più alle famiglie contadine.
Un plauso va fatto all’attore olandese Reinout Scholten Van Aschat e al suo mistico Seybu – anagramma di Beuys omaggio all’artista ispiratore del film – così come a tutti gli attori che danno vita alla comune che sconvolge l’esistenza della protagonista: le scene di danza, musica, contemplazione sono veri e propri processi collettivi che rimandano chiaramente al teatro sperimentale degli anni ’70.
Ipnotica la magnifica colonna sonora di Apparat, Sacha Ring, che partecipa anche da attore all’opera con un cameo impersonando uno dei componenti della comune che in una scena molto significativa suona il mandolino.
Come suo solito Martone ha voluto ricostruire la prospettiva del passato nei luoghi reali e quindi, per girare, ha sfruttato ambienti ancora incontaminati di Capri come Orrico e il Monte Solaro, dovendosi per forza di cose spostare nel Cilento – Camerota, San Mauro, San Severino di Centola – per le scene rurali della storia.
In un film con numerosi riferimenti artistici, politici, filosofici, in cui si racconta una delle prime generazioni alle prese con il senso da dare al progresso e al rapporto dell’uomo con la natura, Mario Martone ha cercato di non rendere il ‘peso intellettuale’ dell’opera un ostacolo al rapporto con un pubblico più vasto e variegato; e, infatti, ‘Capri-Revolution‘ ha una forza narrativa capace di incuriosire ed affascinare qualsiasi tipo di spettatore a dimostrazione della universalità del Cinema autoriale… di quello fatto bene.
Autore Paco De Renzis
Nato tra le braccia di Partenope e cresciuto alle falde del Vesuvio, inguaribile cinefilo dalla tenera età… per "colpa" delle visioni premature de 'Il Padrino' e della 'Trilogia del Dollaro' di Sergio Leone. Indole e animo partenopeo lo rendono fiero conterraneo di Totò e Troisi come di Francesco Rosi e Paolo Sorrentino. L’unico film che ancora detiene il record per averlo fatto addormentare al cinema è 'Il Signore degli Anelli', ma Tolkien comparendogli in sogno lo ha già perdonato dicendogli che per sua fortuna lui è morto molto tempo prima di vederlo. Da quando scrive della Settima Arte ha come missione la diffusione dei film del passato e "spingere" la gente ad andare al Cinema stimolandone la curiosità attraverso i suoi articoli… ma visto i dati sconfortanti degli incassi negli ultimi anni pare il suo impegno stia avendo esattamente l’effetto contrario. Incurante della povertà dei botteghini, vagamente preoccupato per le sue tasche vuote, imperterrito continua la missione da giornalista pubblicista.