Il regista campano si conferma uno dei migliori narratori per immagini del Cinema italiano contemporaneo
Il ritorno dietro la macchina da presa, dopo un film unanimemente apprezzato come ‘Indivisibili‘, era una prova ardua da superare; e con ‘Il vizio della speranza‘ Edoardo De Angelis ha avuto la capacità di migliorarsi. La proiezione cui abbiamo assistito ieri, 22 novembre, al Duel Village di Caserta, era la prima nazionale.
Al suo quarto lungometraggio – 4 e 1/3 contando l’episodio diretto per ‘Vieni a vivere a Napoli‘ – il regista napoletano/casertano racconta una storia cruda, poetica e visceralmente spirituale.
Lungo il fiume Volturno scorre il tempo di Maria, il cappuccio sulla testa e il passo risoluto.
Un’esistenza trascorsa un giorno alla volta, senza sogni né desideri, a prendersi cura di sua madre e al servizio di Zi’ Marì, una madame ingioiellata fautrice della schiavitù come semplificazione della vita.
Insieme al suo pitbull dagli occhi coraggiosi Maria traghetta sul fiume donne incinte che dovranno dire addio ai loro figli, in quello che sembra un purgatorio senza fine.
È proprio a questa donna che la speranza un giorno tornerà a far visita, nella sua forma più ancestrale e potente, miracolosa come la vita stessa.
Perché restare umani è da sempre la più grande delle rivoluzioni.
La natività secondo De Angelis: la speranza rinasce a Castelvolturno
‘Il vizio della speranza‘ è un film sulla natività, non strettamente legata alla concezione religiosa del termine; è una parabola sulla salvezza che giunge grazie alla rinascita della speranza.
Edoardo De Angelis si conferma uno dei migliori narratori per immagini del Cinema italiano contemporaneo: la potenza evocatrice dei suoi film accompagna lo spettatore in un percorso emotivo che non ammette indifferenza.
La sequenza iniziale con il corpo di una bambina che pare galleggiare sulle acque del fiume ha un’intensità pittorica, pare un quadro in movimento che lascia attoniti una volta svelata la realtà delle cose. Per l’intera pellicola ci si imbatte nella forza visiva della storia, nell’emblematico squallore di una cornice paesaggistica stuprata dal menefreghismo governativo.
Come ha tenuto a precisare De Angelis il film non è “ambientato a“, è “di Castelvolturno“:
Castelvolturno è un rifugio di peccatori, donne e uomini in fuga da fame, guerre o semplicemente da fallimenti professionali e personali. Esseri umani in cerca di un luogo dove ricominciare a vivere.
Ci si rifugiano perché ci sono molte case abbandonate, un controllo blando della legge, un clima buono, il mare. 25 mila abitanti regolari, 25 mila irregolari – italiani e immigrati.
Due ‘eserciti’ contrapposti che convivono sull’orlo del conflitto scambiandosi soldi, cose, droga, sesso, figli, qualche tenero abbraccio e antiche malattie.
Quando non hai i soldi per comprare il pane preghi Dio che ti mandi la manna dal cielo; quando i soldi per il pane ce li hai, preghi per avere da bere, una macchina, una casa e quando hai tutto preghi perché nessuno te lo porti via.
Questo è ora Castelvolturno, tornato ad essere luogo di racconto cinematografico per De Angelis dopo ‘Indivisibili‘; una terra bagnata da una pioggia costante ne ‘Il vizio della speranza‘, in cui il sole è un’utopia, una speranza, la cui alba è il simbolo della rinascita prima dei titoli di coda.
Cast da applausi: Pina Turco sorprendente
A vestire i panni della protagonista Maria è una sorprendente Pina Turco, che nella prima parte della storia ammanta con un profilo spigoloso una sofferenza da esibire esclusivamente quando è sola; si lascia trascinare dalla normalità del male di cui è complice, e in questo disegno del personaggio è bravissima l’attrice che trova nel cambio di registro interpretativo della seconda parte un’intensità recitativa capace di mostrare la nascita della speranza.
La madame che ‘costringe’ la protagonista Maria a perpetrare il ‘male’ ha il volto di Marina Confalone: eccezionale nella maschera mefistofelica che indossa con maestria dispensando pillole di perfida filosofia. La madre della protagonista è interpretata da Cristina Donadio, in uno dei ruoli più ambigui e complicati della sua carriera, quello di una donna apatica che in una sorta di catatonia dovuta, forse, ad un passato di violenze si lascia accudire e mantenere da una figlia che ha sempre sfruttato.
L’unico personaggio maschile de ‘Il vizio della speranza‘ è il giostraio Carlo Pengue, un’oasi di umanità tra un cumulo di macerie umane; ad interpretarlo magistralmente è Massimiliano Rossi, al terzo film con De Angelis dopo essere stato lo Zingaro napoletano di ‘Mozzarella Stories‘ e il padre padrone delle gemelle in ‘Indivisibili‘, e resta un mistero il perché la sua bravura sia così poco “sfruttata” dai registi italiani.
Un plauso va fatto all’intero cast artistico con menzioni doverose alla piccola Nancy Colarusso, a Imma Mauriello e Mariangela Robustelli.
Elogio dei tecnici per un film ottimamente girato
Il cast tecnico – Chiara Griziotti montaggio, Carmine Guarino scenografia, Massimo Cantini Parrini costumi, Vincenzo Urselli suono – è uno dei motivi degli elogi che merita il lavoro di Edoardo De Angelis sostenuto dalla produzione del fido Pierpaolo Verga: se il tappeto sonoro regalato dalle splendide canzoni di Enzo Avitabile avvolge di misticismo e spiritualità la storia, la fotografia di Ferran Paredes Rubio è un magistrale ritratto di un’oscurità alla continua e vana ricerca di colori.
‘Il vizio della speranza‘ è probabilmente il film più intimo, personale di Edoardo De Angelis, e dimostrazione ne è il finale in cui non rinuncia al vezzo di comparire, come già avvenuto nei suoi lavori precedenti: stavolta, però, lo fa emblematicamente, senza mostrare il suo viso, alimentando il fuoco di un caminetto e facendo una carezza nel silenzio assoluto della notte… come quel Dio protettore a cui si affidano i personaggi… come un marito con la propria moglie…come un padre con il proprio figlio… come un essere umano con i propri simili.
Autore Paco De Renzis
Nato tra le braccia di Partenope e cresciuto alle falde del Vesuvio, inguaribile cinefilo dalla tenera età… per "colpa" delle visioni premature de 'Il Padrino' e della 'Trilogia del Dollaro' di Sergio Leone. Indole e animo partenopeo lo rendono fiero conterraneo di Totò e Troisi come di Francesco Rosi e Paolo Sorrentino. L’unico film che ancora detiene il record per averlo fatto addormentare al cinema è 'Il Signore degli Anelli', ma Tolkien comparendogli in sogno lo ha già perdonato dicendogli che per sua fortuna lui è morto molto tempo prima di vederlo. Da quando scrive della Settima Arte ha come missione la diffusione dei film del passato e "spingere" la gente ad andare al Cinema stimolandone la curiosità attraverso i suoi articoli… ma visto i dati sconfortanti degli incassi negli ultimi anni pare il suo impegno stia avendo esattamente l’effetto contrario. Incurante della povertà dei botteghini, vagamente preoccupato per le sue tasche vuote, imperterrito continua la missione da giornalista pubblicista.