L’originale pièce di Palazzolo fa riflettere ed inquieta lo spettatore
Uno degli obiettivi principali della performance del magnifico Rosario Palazzolo, autore, regista e interprete palermitano de ‘Lo zompo’, primo atto di una trilogia che lo ha visto in scena al teatro TRAM di Napoli dal 15 al 18 novembre, è quello da lui stesso dichiaratomi di “far stare scomodi gli spettatori”, ponendoli in una situazione molto diversa rispetto al cosiddetto teatro tradizionale.
Il Palazzolo, sotto le mentite spoglie del professore di matematica Nunzio Pomara, letteralmente invade la platea, con la sua parlantina velocissima e pirotecnica, coinvolgendo e travolgendo gli spettatori, rendendoli attoniti co-protagonisti dello spettacolo e raggiungendo così perfettamente il suo obiettivo.
La scelta di una messa in scena diversa dai soliti schemi, con il pubblico seduto in circolo attorno al protagonista, continuamente chiamato in causa e anche un po’ provocato, rende sicuramente più agevole affrontare, in un primo momento con gentilezza e levità, poi in maniera sempre più veemente e a tratti cruda, determinati temi di spessore e densità altrimenti intoccabili, che spaziano dalla satira religiosa, nel continuo narrare quella sconcertante zona d’ombra dove la fede diventa spesso superstizione popolare e oscurantismo, in un paradosso evidente ma tenacemente inestirpabile, fino alla violenza di chi impone al resto del mondo, o del suo mondo, le proprie convinzioni in maniera inappellabile.
L’autore, in questa prima piece ci regala questo personaggio che viene percepito in prima battuta come buffo e inoffensivo ma che, proprio dal suo essere a suo modo diverso, puro e intransigente, trae una enorme forza e pericolosità, dimostrandosi capace di una visione laterale e oggettiva di accadimenti che da altri sono uniformemente accettati come verità, soltanto perché scagliati con la violenza del pensiero popolare, e che grazie alla sua lucidità e diversità non avrà paura di scardinare, in una reazione a catena dalla portata difficilmente prevedibile.
Il Professor Pomara, infatti, rifiuta la superstizione che investe una sua alunna, Samantha, indicata come l’incarnazione terrena della Vergine Maria, che la espone, paradossalmente a violenze e costrizioni a cui la ragazzina soggiace con la rassegnazione dei deboli e dei miti, in una spettacolarizzazione continua e molesta del sentimento religioso diventato mera credenza.
Dopo i primi sorrisi e le prime timide risatine, nell’assistere al parlare concitato del protagonista che ci sembra francamente un po’ fuori di testa e, a tratti ci ricorda un moderno Charlot, si comincia a sorridere a denti stretti e sempre meno, fino a che non si sorride più, con i pensieri curvi sotto il peso delle parole.
Il primo attore, in una performance travolgente, nella quale si trasfigura completamente, cambiando perfino sembiante, ci urla di aprire gli occhi, mentre scaglia il microfono a terra e salta sulle sedie, ricordandoci che il mondo ci imprigiona quando crediamo di esprimere liberamente il nostro talento, rendendoci schiavi delle aspettative altrui.
Egli, infatti, al termine dello spettacolo, mi ha rivelato che proprio, cito testualmente,
l’impossibilità che si possa accettare che altri, dotati di qualche particolare dono, possano rifiutarlo
nel nome di una volontà di vivere la propria esistenza in maniera differente dalle aspettative altrui, è un altro leitmotiv che si intreccia al tema principale e che verrà ulteriormente sviluppato nei successivi episodi della trilogia.
Ne ‘Lo zompo’ il personaggio, a tratti naive e a tratti inquietante del professor Pomara, ci ricorda che spesso la libertà da lui ben incarnata e a cui tutti aneliamo è un miraggio e, lungi dall’essere innocua, spesso è foriera di disastri.
Il drammaturgo, infatti, ci rivela che
più grande è il talento e minore sarà la libertà individuale, in una sopravvalutazione della parola libertà, laddove anche la contestazione, sfrondata di altre accezioni, in effetti non è altro che la possibilità o la voglia di cambiare idea
ma viene invece erroneamente percepita dalla società come un attacco all’assetto precostituito, da combattersi con ogni mezzo, anche con la violenza della superstizione.
Foto Corrado Rinaldi
Autore Floriana Narciso
Floriana Narciso, napoletana. Un cuore sospeso tra Napoli e la verde Irlanda. Mediterranea nell'aspetto ma "Irish"nel midollo, vive costantemente in bilico tra due culture e pensa in due lingue fin dal primo vagito. Laurea in lingue straniere europee, dottorato in linguistica per scopi speciali su tematiche di politica internazionale, vive e lavora tra varie realtà. Pensa a buon diritto che i libri e i gatti siano i migliori amici dell'uomo. Nel suo sangue scorre prevalentemente un buon tè nero, forte e bollente anche sotto il solleone. Scrive perché non riesce a farne a meno.