Le rappresentazioni in programma dal 18 al 30 agosto
Si è tenuta stamani alle ore 11:30 presso Spazio Nea la conferenza stampa di presentazione di Classico Contemporaneo, la rassegna teatrale che si svolgerà al chiostro di San Domenico Maggiore dal 18 al 30 agosto. Cartellone ricco di rappresentazioni classiche rivisitate da compagnie napoletane e non.
L’organizzazione è a cura del Teatro dell’Osso, mentre la direzione artistica è affidata a Gianmarco Cesario e Mirko di Martino. Ad illustrare con loro la rassegna è l’assessore alla cultura del Comune di Napoli Nino Daniele.
Apre i lavori Gianmarco Cesario, che è di casa lì avendo organizzato proprio a Spazio Nea la sua splendida iniziativa, Teatro Match – Il gioco del teatro, che abbiamo seguito con piacere, mentre aspettiamo con ansia la prossima edizione che prenderà il via a novembre e di cui parleremo ampiamente sempre da questa testata.
Classico Contemporaneo, spiega Cesario, è alla sua II edizione; se la I è nata in modo spontanea e ha privilegiato spettacoli con attinenza con il classico e la drammaturgia contemporanea, questa nuova edizione invece, è incentrata su rappresentazioni con una lettura contemporanea che dia appunto modernità ed ulteriore immortalità al teatro. Si parte dalla commedia dei classici più antichi come Aristofane per poi passare a quelli più moderni come Shakespeare e Molière e terminare con i contemporanei quali Pirandello, Schmidt, Ibsen, Cechov, Petito, Viviani, Eduardo. Insomma, ce n’è per tutti i gusti. Gli autori rivisitati tracciano tutta la storia del teatro.
“Chi mi segue, chiosa Cesario, sa che mi piace tener vivo il ricordo della drammaturgia che ha fatto innamorare tanti di noi del teatro”.
Cede quindi la parola all’assessore Daniele che spende parole di sincero elogio ai due organizzatori così “ostinati, coraggiosi e dominati da un’indomabile passione che porta a realizzare un progetto tanto importante. Sono orgoglioso che la città possa avere una rassegna teatrale con queste caratteristiche, con questa qualità e con questi livelli, sia di innovazione che di rivisitazione dei grandi classici. Il progetto merita una grandissima attenzione anche nazionale. È straordinario poi che tutto questo sforzo si regga sull’amore per il teatro, uno degli aspetti più significativi di questa città. Il teatro a Napoli è vivo, è una fucina di talenti come non accade in nessuna altra città italiana”. La location della rassegna, il chiostro di San Domenico Maggiore, è particolarmente indicata proprio perché è l’emblema di “uno dei luoghi dell’anima di Napoli” dove spiritualità, emotività e suggestione collimano perfettamente. L’assessore si dice poi fiducioso nel futuro della città grazie soprattutto ad iniziative come Classico Contemporaneo e cita Morin con “il teatro uno dei sette saperi necessari”.
Conclude lodando ancora l’iniziativa: “L’aver attualizzato questi classici è un grandissimo esperimento creativo ed intellettuale, una grande risorsa di energia, una benedizione per la città”.
È il turno di Mirko Di Martino, dell’organizzazione Teatro dell’Osso, che illustra come questa iniziativa nasca all’insegna della contaminazione di generi diversi da cui scaturisce una fusion singolarissima. Le serate di programmazione sono 13 per 12 spettacoli, 5 dei quali vengono inscenati per la prima volta proprio in quest’occasione, altri per la prima volta in regione. Non si tratta quindi di un catalogo di spettacoli già mostrati. Altra particolarità: qualche opera sarà presentata in modo non canonico proprio per adattarla alla meravigliosa cornice in cui si svolgerà. Dunque innovazione e contaminazione saranno le parole chiave di questa II edizione di Classico Contemporaneo. È importante sottolineare che anche quelli già inscenati non sono presenti nel cartellone dell’Estate Napoli 2015. Non mancano agevolazioni economiche per i biglietti. Il singolo spettacolo ha un costo di €12, ci saranno pacchetti riservati agli spettatori più assidui: € 30 per 3 spettacoli; € 55 per 6 spettacoli; € 100 per tutti e 13 spettacoli.
Tocca quindi alle compagnie che simpaticamente vengono invitate a racchiudere in 1 minuto l’essenza della trama. Ognuno degli oratori in modo brillante racconta qualcosa della rappresentazione e, ascoltandoli, viene decisamente voglia di assistere all’intera manifestazione. L’appuntamento è al chiostro di San Domenico Maggiore dal 18 al 30 agosto per la rassegna teatrale Classico Contemporaneo.
Per i dettagli, riportiamo integralmente il programma distribuito dall’organizzazione.
Il comunicato:
La scelta di dedicare una rassegna ai classici ci è stata dettata dal grande amore per la letteratura teatrale, quella che negli anni passati riempiva le sale di spettatori, i quali venivano trascinati nel mondo letterario di grandi autori che, a loro volta, avevano avuto il grande merito di scrivere per il pubblico. Dai primi tragici greci agli autori della seconda metà del novecento c’è stato grande fermento letterario dedicato al teatro e troviamo interessante trasmettere al pubblico di oggi quel patrimonio che ha reso nei secoli il teatro uno delle più seguite espressioni artistiche. Naturalmente al pubblico degli anni 10 del ventunesimo secolo è gusto proporre questi autori, mediati, però, dal gusto e dal talento artistico di registi ed interpreti contemporanei. Al suo secondo anno di vita, ancor di più nella passata prima edizione, che con orgoglio ricordiamo premiata da una entusiasmante presenza di pubblico, CLASSICO CONTEMPORANEO intende quindi coniugare il teatro dei grandi autori, del passato, e, perché no, anche del presente, con riletture registiche contemporanee che diano, in questo modo, un ulteriore contributo alla loro immortalità. Per due settimane nella suggestiva atmosfera del chiostro di S. Domenico Maggiore in Napoli, saranno in scena opere di autori quali Aristofane, Shakespeare, Moliere, Pirandello, Schmidt, Ibsen, Cechov, Petito, Viviani, Eduardo ed anche i grandi autori della tradizione musicale napoletana. Gran parte delle opere in cartellone sono presentate in prima assoluta e ci auguriamo che il successo dello scorso anno sia di ulteriore incentivo alla presenza di un pubblico che finalmente torna a vivere il teatro senza farsi condizionare da personaggi televisivi ma esclusivamente dal valore delle opere proposte.
Ci fa piacere, infine, ringraziare particolarmente l’Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli, nella persona dell’assessore Nino Daniele, per la fiducia confermataci quest’anno, che ci vede raddoppiare i giorni di permanenza nel meraviglioso sito concessoci, nell’ambito delle manifestazione ESTATE A NAPOLI
Organizzazione Teatro dell’Osso
Direzione Artistica Gianmarco Cesario e Mirko Di Martino
Chiostro San Domenico Maggiore – Vicolo San Domenico Maggiore 8 Napoli
Contatti
(Info e Prenotazioni) 3291850120
(Ufficio Stampa) 3804932026
classicontemporaneo@gmail.com
Costo biglietti: biglietto unico 12 €
Card Speciali:
light card (3 spettacoli a scelta) 30 €
medium card (6 spettacoli a scelta: 55 €
full card (tutti e 12 spettacoli) 100 €
martedì 18 agosto
ALTAMAREA
ANIME DANNATE
Da “l’Altro Figlio” di Luigi Pirandello e “Filumena Marturano” di Eduardo
con musiche di scena da i canti di Sergio Bruni
con Tina Femiano Francesca Fedeli
aiuto regia, Michele Romano
costumi, Giovanna Napolitano
disegno luci, Ciro Di Matteo
drammaturgia, regia e voce recitante Riccardo De Luca
Due storie di madri, Maragrazia e Filumena, sciagurate e terribili. “Sciagurata e terribile femmina” – scrive di Filumena Silvio D’Amico – “che dopo essersi fatta sposare con un anello da un’amante egoista, si rifiuta di rivelargli quale dei tre figli di lei sia figlio anche di lui, e gli impone d’accettarli, con elastica fede, tutti e tre”. Come non scorgere Pirandello, dietro i funambolici, machiavellici giochi di Filumena Marturano. E come lei, anima dannata e potente madre è Maragrazia de “L’altro figlio”. Entrambe, prima come donne e poi come madri, in epico scontro con l’inferno.
La povertà delle due donne unita alla povertà dell’ambiente e degli uomini che le circondano è forza devastante e condizionante al massimo per le due esistenze. Nessuna delle due sarebbe stata quello che poi sarà – a teatro il passato non esiste – se non perché costrette da altrui volontà anch’esse dipendenti da altre costrizioni. “L’inferno” dunque, “sono gli altri”. Ecco un altro incontro – tra i tanti, nelle pieghe della scrittura, nella trama della cultura, nei segni dei personaggi – tra Pirandello ed Eduardo. E un ideale scontro, tra i pochi, attraverso il confronto a distanza tra le protagoniste di queste due storie: la tragicomica Maragrazia e la drammatica Filumena. La crudelissima storia di Maragrazia che si specchia e si capovolge nella vicenda di Filumena. Perché Maragrazia è madre violentata e rifiutandosi persino di allevare e di riconoscere il figlio avuto, l’altro figlio – ritorna il sartriano infernale “altro” – imbocca la via dell’ automortificazione; e come curiosamente spesso accade a chi la imbocca, la spettacolarizza. I due figli nati precedentemente alla violenza diventano per lei oggetto di culto, ne fa infatti degli inetti. E quando questi emigrano e non danno più notizie, passerà il tempo a farsi fare inutili lettere da spedire ai due fuggiaschi e a ripudiare odiosamente l’aiuto che l’altro figlio le continua sempre a offrire, distruggendone la vita e automortificando la propria facendosi randagia, cenciosa, ripugnante, patetica, tenerissima morta di fame.
Filumena, come Maragrazia, prima subisce ma quando diventa madre, al contrario di Maragrazia che confonde e sostituisce il vero “altro” nemico sociale e umano con l’altro figlio, questa stessa maternità – poco importa se attraverso la Madonna delle rose o che – le darà la forza di reagire. Con astuzia, senza moralismi e persino con cinico istrionismo Filumena tenta d’imporre la “sua” verità; e lasciandola poi sedimentare, l’impone. Maragrazia nega convinta la maternità a l’altro figlio perché il suo sangue si ribella. E quindi istintivamente, selvaggiamente vive la terribile dissociazione della verità, perché anche lei – come tutti – ne ha una irrefutabile. E come Maragrazia pirandellianamente assurge a simbolo di una realtà nostra ancor oggi perduta nei mille rivoli delle verità diverse ecco che Eduardo con Filumena ci offre una via d’uscita – con valore dignitosamente autoaffermativa e non autolesionistica – che Pirandello e i suoi personaggi non hanno saputo o potuto trovare. La prima storia si concentra sulla spettacolarizzazione che Maragrazia stessa fa di sé, svelandosi, spiegandosi poi nel finale. Con lei dialoga e interagisce Ninfarosa, una spregiudicata donna che ha il compito di mettere a nudo le negatività del comportamento di Maragrazia e di tutta la loro sconfitta comunità di povera gente. Ludicamente, la multiforme Ninfarosa ha il compito – per contrasto – di fare apparire ancor più lugubre la vicenda dei conterranei, ché quando appare, drammaticamente, “pare che splenda il sole”. Non meno protagonista di Maragrazia, Ninfarosa è senz’altro il suo dialettico, ironico opposto e anche se fortemente reagente alle sue disgrazie, esce anch’essa probabilmente sconfitta in quanto senza quell’ “amore” di cui avrà dono Filumena, con cui riscattarsi e quindi sola, schiacciata da una comunità di sconfitti. Non é sola Filumena: la sua maternità é spinta e fonte per il suo stesso riscatto esistenziale. Contro la realtà e con violenza d’attuazione – ideale, quindi – per rialzarsi, combattere, esistere. Dice di Filumena Domenico Soriano, con disprezzo: “una donna che non piange, non mangia, non dorme!” al contrario di Maragrazia, che piange, piange, piange e mangia, avidamente, seppure resti di cibarie datole per carità, e non ha difficoltà a dormire persino per terra, per strada. Anzi è soddisfatta. Anima in pena e dannata – come Filumena – Maragrazia dà dunque spettacolo di sé. Anche Filumena lo fa ma in certo senso da regista fingendosi attrice, perché obbliga gli altri ad agire secondo i suoi intenti. Pirandelliana, eppure concretamente al di là della tragedia di Pirandello. In scena questi personaggi sono soli e a volte dialogano con altri personaggi che non vediamo e che sono dalla parte del pubblico. A volte dialogano con voce fuori campo; con i versi delle canzoni; con la voce registrata del cantante – affascinante e terribile andare in tono con il grande Sergio Bruni! – che diventa testo anch’esso. Questo crea un voluto isolamento dei personaggi e della loro personale storia che vorremmo si scrutassero come attraverso una lente d’ingrandimento: e che dall’inferno di queste acrobate dell’esistenza arrivasse un umano segnale.
Riccardo De Luca
mercoledì 19 agosto
ROSTOCCO E GTS CAIVANO ARTE
IL CANTO DEI GRILLI
Adattamento Ferdinando Smaldone e Antonio Vitale
da “Il canto del cigno di A.P. Cechov
con Ferdinando Smaldone Antonio Vitale
regia Ferdinando Smaldone
Il nostro “Canto del cigno”, “Il canto dei grilli”, è soprattutto un inno al teatro, quello fatto con il cuore e con ogni energia, quello che impegna ogni atto della vita di un uomo, fin quasi a confondersi, quasi, con la vita vera. Nella scrittura convergono, in un singolare e fortunato incontro, i ricordi e le esperienze di un giovane attore, F., vissute e raccontate attraverso l’ironia, la delusione e la crisi emotiva oltre che economica dei nostri tempi, e l’idea di un teatro che un drammaturgo come Anton Cechov consegna ad un secolo che non è più il suo, ma che gli appartiene, teatralmente, per certa paternità.
Il punto di partenza è ovviamente il testo di Cechov, le dinamiche di rapporti che innesca, il suo indulgere senza paura al sentimento e all’umorismo (magari sfiorare le sue vette!) facendolo incontrare, innestandolo quasi, su di una sensibilità contemporanea. Sullo sfondo il Teatro, con le sue mode, le sue inesattezze, le sue follie, il suo gergo, la sua “umanità”, che non cambia mai. Dall’incontro crediamo sia nata una festa del teatro intesa come festa della vita, appunto, un attraversare l’esistenza di un giovane attore e un attore che, pur di vivere di teatro e nel teatro, si accontenta della mansione di factotum che è un po’ anche ricostruire il bagaglio umano, i sogni, i desideri, le disillusioni, gli aneddoti, i rimpianti. Un viaggio che è chiara metafora del nostro viaggio più importante, vissuto e rivissuto ogni giorno, consumando e facendo rinascere giorno dopo giorno, come dalle ceneri della fenice, una passione infinita, il teatro.
giovedì 20 agosto
BALAGANCIK TEATRO
ORSÙ
da A.P.Cechov
con Cinzia Annunziata Nello Provenzano
regia Libero de Martino
Le trame semplici di Cechov risultano ad una lettura più approfondita, essere incredibilmente ricche di spunti, di colpi di scena, di situazioni, di trovate, di risvolti imprevedibili e di profondità inaudite. Per mettere in scena Cechov, oggi come allora, bisogna lasciarsi andare alla miriade di suggestioni che vengono dai suoi personaggi ed accogliere lo stupore di trovarsi proiettati istantaneamente nella dimensione del teatro, dove tutto può essere e tutto può accadere.
Con Orsù abbiamo voluto cogliere nel gioco tra la vedova inconsolabile Popova e il ricco benestante Smirnoff, nel loro comico duello, l’essenza stessa del gioco teatrale. I personaggi si trasformano in continuazione davanti agli occhi dello spettatore e non si incontrano mai alla stessa altezza, la loro lotta non ha vincitori né vinti. Il vero protagonista è dunque il Teatro che diverte e insegna con le sue veritiere menzogne. Benché Cechov abbia concepito il testo come un vaudeville alla russa, ci è risultato naturale esagerarne il tono farsesco per ricordare i lazzi della commedia dell’arte e le clownerie tanto care alle avanguardie russe del primo ‘900.
venerdì 21 agosto
GLI ALBERI DI CANTO TEATRO
PASSIONI IN…CANTATE
con Patrizia Spinosi Maurizio Murano
alle chitarre Michele Bonè Ernesto Brevo Perez
costumi Zaira De Vincentis
assitente alla regia Simona Esposito
regia Mariano Bauduin
“Sono partito da una cantata di Alessandro Scarlatti, passando per Cimarosa, per Mario Costa, E.A.Mario, Lama, De Giovanni, per tornare a Logroscino, Paisiello, i canti salentini, Luigi Ricci ecc. Non è un percorso con dinamiche temporali, non è un viaggio all’interno della musica napoletana, assolutamente no, è una specie di “incantamento” o un “incatenamento” dei sentimenti amorosi legati a suoni antichi e moderni, in un corto circuito della memoria, dove quello che sembra moderno si traveste di antichità e viceversa… i suoni vivono un rapporto tutto loro con il tempo e quindi affrancandoli da determinate collocazioni storiche acquistano un nuovo senso del tutto teatrale. L’azione è puramente settecentesca, il mondo a cui ci riferiamo è una della più pura formalità, eppure i suoni ne determinano un nuovo e autentico gioco di specchi e di rimandi. Quello che si racconta è la Passione e il sentimento amoroso nelle sue pieghe e nelle sue autentiche sonorità.
Non ho voluto preoccuparmi di nessuna filologia, ne’ filosofia dell’amore, ma di una filosofia dell’anima, o una filosofia del cuore, inseguendo stati d’animo e ignoti moti come li avrebbe definiti Jung nei suoi studi sulla Libido, basati su concetti di inconscio collettivo, interpretazione del simbolo ed energia psichica e non piu’ suoi concetti di pulsione sessuale e di morte, Io, Es, e Super-io della scuola freudiana. Jung, mettendo in luce la presenza di archetipi nell’inconscio dell’uomo, propose la Libido come “energia psichica” perdendo dunque il significato originario di pulsione sessuale e acquistando il significato di “trasformazione spirituale”.
sabato 22 agosto
EXTRAVAGANTES
LIOLÀ
di Luigi Pirandello
con Antonio Gargiulo, Daniela Cenciotti, Ciro D’Errico,
Arianna Cristillo, Maria Rosaria Postiglione, Fortuna Liguori, Valentina Martiniello, Liliana Palermo, Dalila Paragliola,
Antonia Baiano
scenografie Massimo Malavolta
costumi Maria Pennacchio
progetto luci Antonio Gargiulo
regia Antonio Gargiulo
(…) è così gioconda che non pare opera mia». Così Pirandello, in una lettera indirizzata alla sorella descriveva il suo componimento teatrale appena terminato: “Liolà”, scritto in pieno conflitto mondiale. L’intera opera pare, infatti, non risentire del pesante clima sociale e familiare vissuto in quel momento dallo scrittore. Gli accessi di crisi della moglie, causati dall’aggravarsi della malattia mentale, e la prigionia del figlio, detenuto in un campo prigionieri di guerra, sembrano, al contrario, avere ispirato, forse come reazione, un testo che gode di una spensieratezza che incornicia, suo malgrado, un gretto mondo, fatto di meschine gelosie e affannosi e quasi scoordinati progetti per l’autoaffermazione. La “miseria umana” definita nei suoi aspetti più squallidi e subdoli in un mondo a tendenza matriarcale, viene per un attimo dimenticata, rielaborata dal pubblico grazie alla sparigliante presenza del protagonista (Liolà, per l’appunto) che, come un satiro di una bucolica, è vittima, carnefice, e di nuovo vittima vincitrice di uno spietato gioco ove i ruoli sociali devono restare intoccati.
Impossibile attualizzare una vicenda come quella di Liolà, così radicata in una storia – seppur così vicina a noi – che sembra ormai passata. Ciò che affascina e ne garantisce la godibilità ancora oggi, a nostro avviso, è la possibilità di riscontrare vizi e trovate, intrighi e colpi di scena cui lo spettatore, supremo giudice dalla fantasia di bambino, non si abituerà mai e per cui sarà sempre molto grato. Abbiamo, quindi, immaginato una scenografia che faccia a meno del superfluo, facendo affidamento a un progetto luci diegetico, e soluzioni che denunciano il forte contrasto tra il dinamismo tentato dal protagonista e l’attanagliante realtà di un mondo, una realtà che faticano ad adattarsi al cambiamento, e, di conseguenza, ad accettare il fallimento di un progetto di stabilizzazione.
Antonio Gargiulo
domenica 23 agosto
ORTENSIA T
O P A T A P A T A
una riscrittura de La tempesta di William Shakespeare
progetto di e con Roberto Azzurro
Quante volte ci siamo ripetuti: vorrei andarmene su un’isola deserta e ricominciare tutto d’accapo? Molte. Molte. E come spesso accade è la fantasia – in questo caso il teatro – che ci permette di realizzare i sogni più incredibili, più astrusi, più immaginifici anche.
Ma chissà se Prospero aveva immaginato che una volta sbarcato sull’isola, non avrebbe fatto altro che tentare di ricostruire la stessa esistenza che conduceva prima della sciagura che lo aveva ridotto lì, insieme alla figlia Miranda.
Se Prospero avesse accettato la nuova condizione, e dunque avesse immaginato di ricostruirsi una vita alternativa, una vita senza più vincoli relazionali simili a quelli precedenti, se Prospero avesse accettato di aprire il suo cuore – un tempo infranto per il sopruso politico che lo aveva scacciato dalla sua posizione di comando, e dunque ancora dolorante – a un destino scevro da legami di potere, allora forse sarebbe stato davvero un essere umano pronto al cambiamento. Ma l’essere umano non è mai pronto al cambiamento della propria natura, per cui Prospero ristabilisce, con nuovi personaggi e nuove figure dell’isola, una dimensione di vittime e carnefici, di prepotenze e disguidi affettivi, pur di riportare se stesso al centro di un meccanismo di potere – unico obiettivo dell’uomo di tutti i tempi e i continenti, dell’uomo antico e dell’uomo moderno, di antichi teatrini di corte, e di moderni teatrini di regimi attuali. L’essere umano non riesce a fare a meno di parametri che gli ricordino continuamente quanto sia migliore di qualcun altro, giacché da solo evidentemente non ce la fa a convincersene, per cui ricorrere all’esercizio del potere è l’unica soluzione che gli resta quando intorno vede soltanto solitudine, evidentemente. Dunque il teatrino, anzi i teatrini, che in questa mia Tempesta Prospero/Azzurro, come un iperbolico regista/direttore d’orchestra, riscrive a modo suo, in diretta, la storia dell’isola magica, e con versi iperbolici e rime impossibili ricostruisce continuamente, insieme alla giovane e bella Miranda, al fido Ariel e al terribile Calibano – tutte emanazioni di se stesso -, tutti quelli che risulteranno essere null’altro che i giochi di prestigio di un uomo (Prospero) che non si rassegna al cambiamento della propria esistenza. Finché la sua nuova esistenza non cambierà davvero, riportandolo nel suo passato e alla sua condizione primaria, restituendo il maltolto a sua figlia, alla quale darà il futuro che entrambi auspicavano. In un viaggio profondo e apocalittico, dunque, vedremo ricomparire come generati e germogliati dalla fantasia del mago Prospero tutti i personaggi della sua esistenza, come in un tourbillon psicanalitico e psichedelico, tutti pronti a impersonare la propria parte e quella degli altri personaggi di questa storia. Come un direttore d’orchestra/regista/raccontatore folle e iperbolico, funambolico e grottesco Roberto Azzurro, attraversa i corpi e le voci del mago Prospero e di tutti gli altri personaggi che popolano quest’isola deserta, come lo è proprio adesso la nostra realtà, di figure e anime, di sguardi e parole, portandoci in un gioco metateatrale suggestivo e divertente, dissacrante e fantasmagorico, tra persone e personaggi, tra abisso e cielo, tra sogno e realtà, tra il demonio della propria natura e la santità delle proprie aspirazioni.
Roberto Azzurro
lunedì 24 agosto
LE PECORE NERE S.R.L.
PICCOLI CRIMINI CONIUGALI
di Éric-Emmanuel Schmitt
con Antonio D’Avino Gioia Miale
regia Antonio D’Avino
Quando vediamo un uomo e una donna davanti al sindaco o al prete, dobbiamo veramente chiederci quale dei due sarà l’assassino? Piccoli crimini coniugali è una brillante commedia nera con una suspense sorprendente, un vero divertimento ma anche una saggia riflessione sulla madre di tutte le guerre: quella dentro la coppia. Dopo aver subito un brutto incidente domestico, Lui torna a casa dall’ospedale completamente privo di memoria, ragiona ma non ricorda, non riconosce più neppure la moglie, che tenta di ricostruire la loro vita di coppia, tassello dopo tassello, cercando di oscurarne le ombre. Via via che si riportano alla luce informazioni dimenticate, si manifestano delle crepe: sono molte le cose che cominciano a non tornare. In questo giallo coniugale, in cui la verità non è mai ciò che sembra, la memoria, la menzogna e la violenza vengono completamente riviste per assumere dei significati nuovi, inaspettatamente vivificanti. Schmitt gestisce la scrittura con grazia e freschezza, giocando briosamente tanto col metateatro quanto con oggetti ostici quali “la verità”, “la colpa” e, soprattutto, “l’amore”. Una macchina narrativa pressoché perfetta che svela impietosamente i meccanismi della coppia e i più intimi recessi dell’animo umano. Piccoli crimini coniugali è un piccolo gioiello che dettaglia il necessario inabissamento all’inferno di Lei e Lui, nel tentativo di riemergere alla serenità come coppia.
martedì 25 agosto
ARCAS TEATRO
‘NA LETTERA PE’ TRE ‘NNAMMURATI
da Antonio Petito
con Marcello Raimondi, Riccardo Citro, Aurelio De Matteis, Mariarosaria De Liquori, Federica Totaro, Peppe Carosella
scene e costumi Clelio Alfinito
luci Enrico Scudiero
fonica Franco Di Carluccio
regia Tonino Taiuti
Lo spettacolo, prende vita dalle radici di un repertorio, ormai, da tutti riconosciuto come “Teatro Europeo”. Qui però, il gioco si innesta in citazioni reinventate liberamente, in modo dissacrante, in una comicità contemporanea, ed ecco che allora, Pulcinella diventa Felice e Felice, diventa Pulcinella. “‘Na lettera“, è la storia di tre corteggiatori, innamorati della stessa donna, che si combattono a suon di battute e invenzioni,contaminate dalla nostra contemporaneità. Abbiamo constatato poi, nel corso del nostro lavoro, leggendo tra gli scritti critici su Petito, che il metodo da noi applicato per la nostra messinscena, non era altro, che quello che faceva questo grande artista, costruendo i suoi testi, insieme agli attori, proprio nella fase delle prove.
Tonino Taiuti
giovedì 26 agosto
FRENTANIA TEATRI
SPETTRI
Liberamente tratto dall’omonima opera di Henrik Ibsen
con Giorgia Trasselli Giandomenico Sale
Voce fuori campo di Raffaello Lombardi
scene Nicola Macolino
Musiche Marco Werba
costumi Marina Miozza
Aiuto regia Benedetta Taliercio
Tecnico Audio Nico Petrucci
Tecnico Luci Damiano Nicodemo
Foto di scena Massimo Di Nonno
regia Giandomenico Sale
Un dramma familiare reso attualissimo dai temi affrontati. Un realismo, quello di Ibsen, che svela tutta l’ipocrisia della morale borghese, che si regge sul perbenismo e sulla religiosità apparente. Una versione, questa, incentrata sul rapporto madre e figlio, con un Pastore Manders che diventa spettro e coscienza della Signora Helene, una voce che le rimbomba nella testa e che le porta alla mente tutti gli avvenimenti passati che lei cerca di dimenticare. Una scena minimalista non riconducibile allo stile ottocentesco proprio per rafforzare maggiormente la grande attualità di questo testo. Un cubo soggiorno e serra, simbolo materiale di quelli Spettri che Helene cerca in ossessivamente di distruggere.
giovedì 27 agosto
COMPAGNIA ASYLUM 2015
UCCELLI QUASI SENZA PAROLE
di Mimmo Grasso e Massimo Maraviglia
(scritto pensando a Uccelli di Aristofane)
con Anna Bocchino, Clara Bocchino, Emanuele D’Errico, Giulia De Pascale, Michele Di Mauro, Michelangelo Esposito, Raimonda Maraviglia, Teresa Raiano, Dario Rea, Luca Serafino, Luigi Ventura
e con la partecipazione di Ettore Nigro
Training Caterina Leone
Assistenti alla regia Armida De Rosa, Chiara Paraggio
Oggetti di scena Luca Serafino, Gennaro Schiano
con la consulenza di Ulrich Johannes Mueller
costumi Patrizia Visone
Regista assistente Ettore Nigro
Fotografia e grafica Luca Serafino
Direttore di produzione Carmine Di Franco
Ufficio Stampa Rita Felerico
regia Massimo Maraviglia
Proseguendo la linea di ricerca avviata da alcuni anni, Asylum Anteatro ai Vergini presenta la sua nuova produzione indipendente. Ispirata a una delle più famose commedie di Aristofane (Uccelli), Uccelli quasi senza parole è una riscrittura integrale in cui del testo drammaturgico originale si conserva anzitutto il motore narrativo e lo spirito tipico della commedia antica.
Nel nuovo testo, Pistetero ed Evelpide divengono così Elpidio e Fortuna, una coppia di disoccupati che, vessati da debiti d’ogni sorta e perseguitati da ufficiali giudiziari, cercano un luogo in cui poter ricominciare una nuova vita, più semplice e serena di quella toccata loro fino a quel momento in sorte. Due “anime ammappuciate1” – come li chiamerà Pulcherna (o Pulcinella) incontrandoli nel loro cammino – che aspirano a diventare uccelli e con essi costruire un nuovo regno fatto di poche cose, di gentilezza, un poco di minestra e pace. Il loro desiderio sarà costantemente messo a dura prova dai personaggi della Vecchia città, quella dalla quale son fuggiti che giungono a visitare il Nuovo Regno cercando a tutti i costi d’istituire in esso le regole, le sanzioni, le vessazioni e i malcostumi tipici dei luoghi infelici. Elpidio e Fortuna, coadiuvati dagli uccelli, resistono e la loro resistenza fa di Cucùlia un posto in cui tutti desiderano andare ad abitare, un desiderio che dilaga in ogni Vecchia città e che in queste crea scompiglio e disordini, per cui Elpidio e Fortuna, rei d’ingenuità, saranno condannati alla peggiore delle pene: l’oblio. Ma se è vero che ogni storia non ha mai una fine, anche quella di Elpido e Fortuna, e pur nell’esito inglorioso di un momento, suggerisce ancora un’altra storia, che è quella di ogni utopia, irraggiungibile come l’orizzonte e indispensabile per continuare a vivere. Una commedia di sapore antico, coi tratti di una favola popolare (e qualche vago richiamo alla contemporaneità), fatta di sonorità, di lazzi, di improbabili grammelot. Un allestimento centrato sulla pura presenza attoriale e su pochi attrezzi di scena, su giochi di rapide trasformazioni, di piccole acrobazie verbali e non, per raccontare – ancora una volta – ciò che a parole non è dato raccontare.
Massimo Maraviglia
giovedì 28 agosto
LE PECORE NERE
SOTTOVOCE
Omaggio a Raffaele Viviani
con Marina Bruno, Elisabetta D’Acunzo, Ernesto Lama
Al pianoforte M° Giuseppe Di Capua
regia Emerso Lama
Viviani racconta la vera natura della terra e degli uomini, le gioie, i dolori, i colori dell’anima, dai più tenui ai più accesi; racconta la strada come mai nessuno ha fatto. Viviani è l’assenzio del teatro, che ti fa volare pur restando attaccato al suolo, il dolce sapore col retrogusto spiritato, la vera essenza del teatro, quella che si afferra non che si accarezza. Anche se è poesia quando vai a interpretarla la materializzi e diventa la tua vita. Bisogna avvicinarsi a tutto questo con rispetto ed umiltà quasi da straniero, ricercando il vero significato della lingua e viaggiando in questo meraviglioso mondo, alla scoperta di emozioni e sentimenti Lo spettacolo diviso in cinque quadri, si apre con la Piedigrotta con un omaggio alla festa, ai suoi carri e e ai suoi strampalati personaggi come Mimì di Montemuro. Nel secondo quadro “gli innamorati”, i più famosi brani sull’amore, Tarantella segreta, ‘O nnamurato mio, Tanno ‘e mo si intrecciano in un tourbillon di sentimenti e gelosie. Poi è la volta del “lavoro con la famosissima Masterrico e la canzone della fatica. Nel quarto quadro i guappi, tutto si tinge di rosso, rosso come il fuoco, la passione, la forza. E qui le arie più belle di malavita al femminile, Bambenella, Avvertimento, Ferdinando, ma anche una nota di colore, con i guappi ‘O guapp ‘nnamurato e ‘O malamente interpretati dalle due donne. Si chiude con un omaggio al varietà e all’operetta con la famosissima Zucconas e la quasi inedita aria Don Checchino. Si mette in scena un omaggio alla morte, facendo trionfare la vita attraverso dei semplici ma efficaci cambi d’abito: la camicia bianca per esempio simboleggia le morti sul lavoro, o ancora le donne che diventano uomini con indosso una cravatta per simboleggiare la loro forza e al tempo stesso la loro grazia. Il mondo non è maschio, ma è femmina. L’uomo è solo di supporto a questa splendida figura.
Ernesto Lama
sabato 29/domenica 30 agosto
TEATRO DELL’OSSO
L’AVARO A PRANZO
da “L’avaro” di Molière
con Lello Serao,
Titti Nuzzolese, Antonio D’Avino, Diletta Masetti, Marcello Gravina,
Roberto Ingenito, Nello Provenzano, Ivan Giordano, Fabiana Spinosa
costumi Annalisa Ciaramella
scene: Laura Lisanti
aiuto regia: Victoria De Campora
drammaturgia e regia Mirko Di Martino
Lo spettacolo prende storie e personaggi dell’Avaro di Molière e li trasporta in Italia nei primi anni ‘60, quando il pranzo della domenica era ancora un rito familiare da non trascurare, quando gli italiani scoprirono all’improvviso il benessere e il consumismo. L’avaro, in questo adattamento che conserva l’esplosiva comicità dell’originale, non è più il tirchio della tradizione, attaccato al denaro per non sperperarlo, ma l’imprenditore della nuova borghesia, attaccato al denaro per guadagnarne ancora di più. Il denaro non è l’oggetto, ma lo scopo del suo lavoro, anzi, della sua stessa vita. Intorno a lui è in atto una grande trasformazione: per la prima volta, i giovani appaiono come una categoria a sé che rifiuta l’autorità dei padri e chiede spazio e visibilità. Il loro incontenibile desiderio di far ascoltare la propria voce si esprime attraverso la musica e la moda, con l’esplosione degli urlatori, dei Teddy Boys, del beat, delle minigonne, dei jeans. L’avaro Arpagone vede tutto questo ma lo rifiuta, percepisce il cambiamento ma non lo comprende: intuisce che è arrivato il tempo del denaro, della ricchezza, del consumismo, ma non comprende che i protagonisti della nuova Italia saranno proprio i giovani come i suoi figli, che lui invece si ostina a trattare come bambini privi di capacità di intendere e di volere. La sua resistenza ostinata al cambiamento, il suo attaccamento al passato, prima che al denaro, lo porteranno alla rovina. La cecità di Arpagone è, in fondo, anche quella di una generazione intera: quella che aveva visto il fascismo, la guerra, la resistenza, la Repubblica. Quegli uomini erano stati in grado di dar vita alla nuova Italia, eppure, abbagliati dalle luci del boom economico, erano incapaci di vedere la notte che stava arrivando.
Autore Lorenza Iuliano
Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.